FLORENCE, ITALY - JANUARY 22: In this photo provided by the German Government Press Office (BPA), German Chancellor Angela Merkel and Director of the Uffizi Gallery Antonio Natali take a tour with the Italian Prime Minister Matteo Renzi on January 22, 2015 in Florence, Italy. The two leaders are expected to discuss a range of political and economic issues as well as the plans of the two countries within the framework of the G7, during this Italian-German Bilateral Summit which is being held in Florence instead of Rome. (Photo by Guido Bergmann/Bundesregierung via Getty Images)

Le domeniche gratuite, le notti bianche raddoppiate della cultura, i giorni di apertura lungo orario: sono alcune delle carte giocate dalla riforma Franceschini per regalare più appeal ai musei, alle aree archeologiche italiane e alle mostre temporanee che si svolgono in quei luoghi.
Dalle stanze del Mibact fanno sapere che dal 2013 al 2016 è di oltre 7 milioni la crescita del numero dei visitatori – passati da 38,5 milioni a 45,5 milioni (+18%) – mentre gli incassi sono aumentati di quasi 50 milioni di euro.
Intorno al dato positivo dei consumi culturali è stata fatta una gran campagna pubblicitaria anche in passato e il battage è stato assordante. Dopo la sentenza del Tar è l’arma preferita da brandire. Quel numero senza nessun meno davanti è diventato un testimonial da sbandierare a riprova della bontà assoluta di una riforma del Mibact che, di fronte al fatto compiuto – maggiori entroiti e più pubblico – non può essere messa in discussione.
In realtà, i dati vanno letti nella maniera giusta, compresi in tutte le loro specificità e grazie alla giusta dose di discernimento. Ecco allora una miniguida per resistere ai toni trionfalistici, per esercitare il pensiero critico. Intanto, in gran parte dei casi, i biglietti dei musei sono diventati più cari. Gli over 65 – a prescindere dal reddito – non hanno più un accesso libero, ma pagano. A fronte delle domeniche gratuite per musei, pinacoteche, siti archeologici, monumenti, il + 4% non è un numero così incoraggiante. Se gli incassi salgono e anche alcune spese aumentano: i cda dei supermusei individuati dalla riforma, gli appalti aggiuntivi per le pulizie, i custodi in turno festivo, per fare qualche esempio, hanno dei costi. Elementi che vanno considerati nel pacchetto mediatico. Una valorizzazione del settore beni culturali – trasparente e non opaca – ammette anche voci nuove e necessarie, ma vanno rese note, soprattutto se si lavora tra le maglie dello Stato.
Quel che invece piacerebbe molto sapere – e si ignora – sono i dati che riguardano scuole ed educazione, la «mission» che contraddistingue i musei.
La fretta è da sempre cattiva consigliera, anche quando si divulgano notizie, omettendone altre. È accaduto con le requisitorie contro il Tar costretto a respingere le nomine di direttori di musei già insediati per «vizio di procedura» (con figuraccia internazionale double face: saremo egualmente tacciati di provincialismo e di esterofilia). Il problema non è nelle figure professionali dei direttori stranieri, forse neanche nel Tar stesso (organo giuridico che prende in esame atti amministrativi), ma nella forzatura di un procedimento che si fingeva fosse pubblico e che quindi per legge sarebbe stato diverso. Bastava aggiustarlo con cognizione di causa, aprendo i giochi per tutti, evitando di farci ridere dietro dal mondo.