I Ci sono voluti tre anni di indagini della guardia di finanza per formulare un’ipotesi di reato di evasione fiscale dell’Iva pari a oltre 153 milioni di eurocontro la multinazionale delle prenotazioni turistiche online booking.com. Ieri la procura della repubblica di Genova, con il procuratore aggiunto Francesco Pinto e il sostituto Giancarlo Vona, l’ha contestato alla società che dipende dalla Booking Holding che ha sede nel Connecticut negli Stati Uniti. «Si tratta di una evasione colossale» ha commentato il procuratore aggiunto Francesco Pinto.

TUTTO È PARTITO nel 2018 da Chiavari quando il nucleo locale della guardia di finanza ha iniziato a fare controlli sui gestori di alcuni «bed & breakfast» della città ligure destinazione di un importante flusso turistico. Dall’esame dei documenti fiscali è emerso come la società olandese era solita emettere fatture senza Iva, applicando il meccanismo dell’inversione contabile – il cosiddetto «Reverse charge» – una specifica applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, l’Iva appunto, attraverso la quale il destinatario di una fornitura di beni o prestazione di servizi è tenuto all’assolvimento dell’imposta. Nel caso di Booking.com la struttura ricettiva era priva della relativa partita Iva e dunque l’imposta non veniva dichiarata né versata in Italia. Questo dice molto del tipo di economia creata dalla monocoltura turistica e del tipo di intermediazione realizzata dalle piattaforme digitali.

L’INDAGINE ha analizzato 896.500 clienti italiani e ha portato alla ricostruzione del fatturato per un totale di circa 700 milioni di euro. Su tale importo Booking.com avrebbe dovuto versare oltre 153 milioni di euro di Iva. Gli accertamenti sono avvenuti sugli anni fiscali dal 2013 al 2019. L’aliquota Iva da versare era al 21% nel 2013 e del 22% per quelli successivi. Nel 2013 era di oltre 13,3 milioni, 16,4 milioni nel 2014, 19,8 nel 2015, 22,3 nel 2016, 25,6 nel 2017, 27,7 nel 2018, 28,4 nel 2019. Nel corso del periodo esaminato tra il 2014 e il 2018 Booking.com ha guadagnato oltre 2,9 miliardi di euro solo in Italia Queste cifre sono il frutto dell’intermediazione costituita dalle commissioni pagate dai clienti come hotel, b&b che son messi in contatto con l’altra parte della triangolazione, il cliente finale che va in vacanza o cerca una sistemazione per la permanenza breve in un’altra città. Dalle indagini è anche emerso come la multinazionale non ha nominato un rappresentante fiscale, non è stata identificata in Italia e ha evaso l’imposta anche in Olanda. Da qui la contestazione del reato di omessa dichiarazione.

LA RISPOSTA DELL’AZIENDA è stata interessante perché ha distinto la posizione del gruppo da quella della filiale italiana: «In linea con la legislazione europea in materia di Iva, riteniamo che tutte le nostre strutture partner nell’Unione Europea, incluse quelle italiane, siano responsabili della valutazione circa il pagamento dell’Iva locale e del versamento ai rispettivi governi – si è letto in un comunicato – Confermiamo di aver ricevuto il recente verbale di accertamento Iva da parte delle autorità italiane, che verrà ora esaminato dall’Agenzia delle Entrate e che intendiamo approfondire in piena collaborazione con quest’ultima». A parte la disponibilità di rito alla collaborazione la presa di posizione conferma un dato strutturale per tutto il capitalismo delle piattaforme, dunque oltre l’intermediazione digitale sulla ricettività turistica. La regolamentazione dell’intero settore è frammentata e le agenzie fiscali stentano perché manca una legislazione sovranazionale all’altezza. Dal 2018 l’Olanda non collabora con gli investigatori italiani. Questo è uno degli aspetti della politica fiscale che ha reso l’Europa un colabrodo. In questo sistema di concorrenza sleale ci sono Stati come l’Olanda che sottraggono fino a 22 miliardi di euro all’anno agli altri. È in questo quadro che va letto il nuovo tentativo degli inquirenti di lavorare con la neonata Procura europea.