Bonaria Manca si è spenta sabato scorso a Viterbo (era nata il 10 luglio del 1925, a Orune). Conoscere Bonaria non significava solamente conoscere un’artista: era un privilegio. Prima che diventasse famosa, per vedere le sue opere occorreva andare a casa sua. Chi ha avuto questa fortuna condivide ricordi simili: offerta di pistoccheddus e di pane carasau con pecorino sardo.

MA SOPRATTUTTO RICORDA occhi belli, attenti e sapienti, che soppesano e dirigono l’intenzione di entrare in un contatto umano profondo. In certi casi Bonaria intonava un canto improvvisato in sardo, una sorta di inno alla mutazione e al divenire della natura e della vita. Senza mai staccare gli occhi dalle persone. Un incanto puro.

Poi, quasi come un cicerone, scortava il visitatore per le stanze della sua casa raccontando la vita dipinta sulle pareti. La sua vita di pastora che a poco più di 50 anni si dedica alla pittura per raccontare una storia nata di là dal mare, in Sardegna, e proseguita vicino al Marta, a Tuscania.
Là, in una valle scavata dal fiume, sorge la casa di Bonaria Manca, la Casa dei Simboli, che per decreto ministeriale del 2015 è di interesse pubblico e di cui dunque è garantita la tutela.
In questa casa ha vissuto dal 1965, da quanto è emigrata con la famiglia dalla Sardegna.

I MOLTI LUTTI e la separazione dal marito creano una condizione di libertà «dolorosa» e di spaesamento cui è difficile dare un senso. La memoria e l’auto-narrazione per immagini diventano la sua ancora, il suo baricentro, la sua forza. E inizia a dipingere proprio la sua vicenda, che è personale e collettiva, che riguarda il suo mondo presente e quello che ha lasciato, che è costellata di immagini di Orune, di Tuscania nei giorni di festa, di Viterbo, di Salonicco, dove è stata per una mostra di donne pittrici.
DIPINGE SU TELA, ma le tele non bastano e allora sono i muri di casa ad ospitare le storie, che si fanno più grandi e distese, e i fiori, e gli alberi. Colori brillanti, perlopiù acrilici, con i verdi e i rosa che predominano, con contorni scuri, a volte stesi con le dita.
Della sua vita di pastora racconta l’artista, e di come se ne va in giro a cavallo o in motocicletta, sfidando le convenzioni. È fiera Bonaria, ma anche delicatissima nel suo rapporto con la natura di cui assorbe e canta il mistero (la luna è un «mistero gigante»). Sa che popolazioni ancestrali hanno abitato i suoi luoghi, ne riconosce i segni, le rievoca in immagini di impatto straordinario che convivono sulle pareti assieme ai personaggi della storia cristiana.

DOPO LA PRIMA PERSONALE a Roma nel 1983, Bonaria Manca ha esposto, oltre che in Italia, in molti paesi: Francia, Svizzera, Grecia, Olanda, Belgio.
Art brut, art singulier, outsider art? Forse non serve inquadrare in una casella la sua espressione artistica, così come quella dei tanti artisti emersi con il lavoro appassionato di tanti studiosi e critici d’arte. Oggi serve solo riguardarla nella sua unicità, fragilità e grande bellezza. Nel sito www.bonariamanca.it si trovano le sue opere, fotografate dalla nipote Paola Manca, e nella navigazione si possono trovare i link a articoli e ai video.