Si mette male per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che perde un altro pezzo grosso del suo staff, il terzo nel giro di pochi mesi, e che mercoledì prossimo con questo fardello dovrà affrontare il voto al Senato sulla mozione di sfiducia presentata da Lega, FI e FdI (con Italia viva che esibisce dubbi).

Ieri mattina a rassegnare le dimissioni è stato addirittura il suo capo di gabinetto, Fulvio Baldi. «Per motivi personali», è la formula di rito, ma la decisione è maturata giovedì sera quando in via Arenula il Guardasigilli e l’alto funzionario hanno discusso dell’attacco frontale sferrato poche ore prima dal sito del Fatto quotidiano, con un articolo che riportava alcune conversazioni intercettate nell’ambito dell’inchiesta della procura di Perugia sul caso del pm romano Luca Palamara. Frasi che testimonierebbero – senza alcuna rilevanza giudiziaria, visto che il capo di gabinetto non è indagato – quanto Baldi fosse prono ai desiderata, anche personali, di Palamara. E quanto “inquinata” sia, secondo il quotidiano vicino ai 5 Stelle, la «gestione del potere» da parte delle correnti della magistratura, in particolare della centrista Unicost, nella quale hanno militato entrambe le toghe intercettate. Il ruolo che Baldi ricopriva da due anni andrà ora in via transitoria al capo dell’ufficio legislativo, Mauro Vitiello, in qualità di reggente.

È UN DURO COLPO per il ministro Bonafede che è ancora impegnato a rendere conto al Parlamento (giovedì 21 maggio sarà in Commissione antimafia) sulle cosiddette «scarcerazioni» di detenuti mafiosi a causa dell’emergenza Covid-19, sul conseguente cambio al vertice del Dap dopo le dimissioni di Francesco Basentini (peraltro anche lui di Unicost), e sulle accuse rivoltegli in diretta tv dal consigliere del Csm Nino Di Matteo, guru “antimafia” dei grillini.

Ed è passata solo una manciata di mesi (dicembre scorso) dalle dimissioni del capo dell’Ispettorato del ministero di Giustizia, Andrea Nocera, finito in un’inchiesta del pm napoletano Woodcock per presunta corruzione.

VA NOTATO PERÒ che l’inchiesta della procura di Perugia dalla quale Ilfattoquotidiano.it ha estratto le conversazioni tra l’ex sostituto procuratore generale della Cassazione Fulvio Baldi e Palamara (la cui difesa ieri ha smentito che l’ex presidente dell’Anm sia «coinvolto in vicende penali che riguardano le nomine pilotate»), pubblicate giovedì pomeriggio, è stata chiusa circa un mese fa, non due giorni fa. Sembra dunque sempre più evidente l’insofferenza montante di una parte del M5S alla figura dell’attuale Guardasigilli. O forse ad emergere con forza è l’insofferenza di una parte della magistratura inquirente.

Nelle conversazioni intercettate «Fulvietto», come lo avrebbe chiamato Palamara, rassicurava il pm romano indagato per corruzione dalla procura di Perugia riguardo la possibilità di far entrare in qualche ministero alcune magistrate, come da lui richiesto. «Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?», avrebbe detto Baldi. Secondo l’Unione delle camere penali, «lo scenario descritto plasticamente dalle intercettazioni» non sorprende chi «da decenni» denuncia lo strapotere della magistratura italiana, che «non si limita ad esercitare il potere giurisdizionale che la Costituzione le affida, ma letteralmente amministra e governa settori vitali del potere esecutivo, soprattutto, e in modo assoluto ed incontrollabile, il ministero di Giustizia».

LO SCONTRO DUNQUE si gioca sul campo del populismo penale: ieri alla richiesta di arresto per i parlamentari di Forza Italia Luigi Cesaro e Antonio Pentangelo, il M5S ha subito reagito, con il presidente dell’Antimafia, Nicola Morra, che chiede a Pentangelo di dimettersi dalla sua commissione, e il capogruppo in Senato Gianluca Perilli che invita Cesaro a ritirare la firma sulla mozione di sfiducia a Bonafede.

Ultima annotazione importante: entro maggio il Csm dovrà nominare il nuovo procuratore capo di Perugia, un ufficio particolarmente strategico perché competente per le indagini sui magistrati di Roma. Dal 2 aprile il ruolo è ricoperto pro tempore dall’ex presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. A questo punto la partita tra le correnti (in risalita Autonomia e indipendenza di Davigo) si fa dura.