Un lungo, ininterrotto colloquio con i grandi testi della classicità latina e volgare quello che Lina Bolzoni intrattiene da anni e di cui rende testimonianza una nutrita serie di saggi esemplari per rigore di metodo, tenuta di stile e ricchezza di suggestioni. Il suo lavoro più recente reca il titolo Una meravigliosa solitudine L’arte di leggere nell’Europa moderna (Einaudi «Saggi», pp. XXX-254, € 30,00) e riprende in mano i fili che la tradizione letteraria italiana ed europea ha mantenuto con i testi antichi e con una pratica di scrittura e di lettura paradigmatica di un modello di civiltà.
Il discorso dell’autrice, che così dà seguito a Il lettore creativo (2012), privilegia alcuni momenti tra quelli che hanno marcato la postura dell’intellettuale nei confronti dell’oggetto libro. Le tappe fondamentali di questo percorso sono segnate da alcune figure imprescindibili, delle quali si ricostruiscono le pratiche di lettura come esperienza personale profonda e come dialogo paritario intrecciato con gli autori presenti nelle loro biblioteche: Petrarca, prima di tutto, e poi Federico da Montefeltro, Machiavelli, Erasmo, Montaigne, Tasso, per arrivare, nell’Appendice, a Proust.

Riconoscersi in un amico
Alcune idee forti connotano l’atto della lettura di questi grandi, impegnati di volta in volta con Omero, Platone, Cicerone o Plutarco: leggere è innanzitutto un viaggio, perché implica uno sradicamento dal presente e un coinvolgimento attivo e dinamico verso l’autore letto e verso il mondo che il suo testo gli presenta; ma leggere è soprattutto intesa e dialogo con una figura amicale che rende possibile il riconoscimento di sé e dell’altro. Il processo che ne deriva e che costituisce di fatto una reciproca identificazione ha agli occhi di quei lettori un valore tanto alto e autentico da superare in termini di efficacia quella del ritratto: il libro fornisce molto di più e molto più efficacemente di un’immagine la verità sull’autore. Prova indiscutibile del fatto che all’altezza dei secoli analizzati la giuntura tra il testo e il suo autore si è resa di fatto inscindibile.
Dai casi illustrati da Lina Bolzoni nel saggio, al di là delle singole specificità, emergono due tratti di persistenza: da un lato la messa in mora del presente nel momento della lettura, dall’altro l’assunzione di una responsabilità personale diretta nella elezione di un libro. Questo rende ulteriore ragione di una condizione che oggi risulta perlopiù affievolita e che invece era presupposto ovvio nei secoli passati: scegliere i libri da leggere implicava l’entrare a far parte di una comunità di interlocutori, sedere al loro tavolo, dialogare, anzi disputare con loro su un piano di parità. I numerosi ritratti fatti realizzare da Federico di Montefeltro nello studiolo del palazzo ducale di Urbino (in gran parte riprodotti nel volume) indicano con chiarezza che quei grandi autori, nei cui ritratti il duca proiettava la sua propria immagine di uomo di cultura, intrecciano vere e proprie «disputationes» con i grandi classici dopo averli al tutto introiettati. La disamina condotta dalla studiosa dimostra che l’intrattenimento con l’autore può non limitarsi al piano dell’amicizia, della formazione di sé e della disputatio; il lettore può infatti spingersi fino al compimento di un’azione quasi demiurgica. Ne danno prova almeno il Boccaccio della Genealogia deorum gentilium, quando dichiara di voler ricomporre le membra lacerate e disperse degli antichi, il Giulio Camillo de L’idea del Theatro e Proust quando traduce, commenta e si misura in prima persona con Sesamo. I tesori del re di Ruskin.
Non potevano mancare in questo contesto alcuni tra i riferimenti canonici: la lettera familiare XV, in cui Petrarca descrive il suo raccogliersi e intrattenersi in biblioteca con gli amici veri, veramente vivi, più di quelli che si illudono di esserlo perché respirano; la lettera che Machiavelli indirizza a Vettori descrivendo il proprio rifugiarsi in solitudine con i classici; come pure la ‘torre’di Montaigne, immagine simbolo e icona che meglio rappresenta anche nella concretezza fisica della location il senso ultimo di una familiarità con personalità del passato per incontrare le quali è necessario sollevarsi rispetto al piano del presente.
L’area tematica è circoscritta con nettezza. È però singolare quanto l’intero discorso pur focalizzandosi di volta in volta su aspetti specifici di fatto solleciti il lettore a un’operazione di riflessione sull’attualità. Inoltrarsi nella pratica di lettura dei secoli che vanno dal XIV al XVI fa risuonare note oggi rese flebili dal ‘rumore’ circostante. E rievocare la posizione di Petrarca verso i modelli antichi, ripercorrere le frasi scelte da Montaigne e incise sulle travi della sua torre o ritornare alle battute che il Forestiero Napoletano (Tasso) scambia con Gianlorenzo Malpiglio non fa che rendere via via più concreta e incisiva l’azione di avvicinamento a una disamina personale e intima di quello che è il nostro rapporto con la cultura. Insomma la delicata contiguità che il libro sa instaurare tra l’autore e il lettore diventa nell’investigazione di Lina Bolzoni il risultato di un’operazione di natura quasi stregonesca. Grazie alla lettura il testo non solo riprende vita, ma consente una relazione amicale profondissima tra due individui che possono essere separati anche da incommensurabili distanze geografiche e cronologiche. Il libro, infatti, consegna la vera immagine dell’autore, quella che il ritratto più fedele non potrà in nessun caso eguagliare. È evidente quanto tale modalità di lettura vada di fatto a rappresentare un tipo di approccio ben distante da quello adottato dai più oggi.

La negazione del contemporaneo
La scelta di un testo e la sua lettura implicavano sostanzialmente la scelta di una discontinuità con il presente: l’elezione di un interlocutore privilegiato selezionato per negazione rispetto ai contemporanei, e il trasferimento, il rifugio, in un luogo inaccessibile a chiunque altro. Leggere diventa in tale contesto una recisa affermazione di volontà che ‘taglia’ il tempo e lo spazio. Voltate le spalle al quotidiano (negativo) il lettore si inoltra in un territorio più familiare e prossimo di quello ordinario e reale, che però identifica pienamente come proprio, all’insegna di una consuetudine, annotava Poggio Bracciolini, che nulla poteva interrompere.
La biblioteca perciò ci si erge innanzi con l’imponenza delle rivelazioni inaspettate quale spazio di meravigliosa solitudine affollata di presenze amiche, autentica epifania di una continuità aperta fino a oggi e frutto di una duplice rifrazione che contiene anche la salvaguardia verso i rischi che possono derivare dalla lettura: l’autore consegna la propria immagine più autentica al libro, il libro viene scelto dal lettore che arrivando al cuore dell’autore raggiunge contemporaneamente il suo proprio centro, la camera segreta di sé, situata però in un luogo esterno, fisico. Dunque libro come speculum, strumento privilegiato di conoscenza, mezzo e scopo del viaggio, nei confronti del quale però il lettore deve restare compos sui, poiché i libri sono cibo che va somministrato con «discernimento».
Se l’età contemporanea è contraddistinta dalla presenza di non-luoghi, segnati da instabilità, transitorietà, assenza di relazioni, la biblioteca rappresenta allora il più nobile dei luoghi: quello in cui nella pacatezza di un tempo ritrovato e nella piena padronanza di sé, l’individuo ha la facoltà di entrare in una vitale e potenziata relazione con sé e con l’altro.