Sonia Bone è nata in un villaggio indigeno del Maranhao, nel nord- est del Brasile, negli anni in cui il suo popolo subiva le persecuzioni della dittatura militare. Oggi è una leader indigena di primo piano che, in onore della sua etnia, ha assunto il nome di Sonia Guajajara. E’ coordinatrice esecutiva dell’Apib (Articolazione dei popoli indigeni del Brasile), la principale organizzazione del movimento indigeno. Ha voce nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu, ha fatto sentire le ragioni dei popoli indigeni alle conferenze mondiali sul clima, ha presentato denunce al Parlamento Europeo, ha partecipato al Sinodo sull’Amazzonia.

Alle ultime elezioni presidenziali è stata candidata alla vicepresidenza della Repubblica nel PSOL (Partito Socialismo e Libertà) insieme a Guilherme Boulos. Una candidatura che Sonia Guajajara ha definito «indigena, anticapitalista ed ecosocialista». Ogni anno organizza l’Acampamento Terra Livre, la più importante manifestazione indigena del Brasile, un evento che vede confluire nella capitale migliaia di indigeni provenienti da tutto il paese.

L’edizione di quest’anno era stata sospesa a causa del coronavirus. Una decisione che Sonia Guajajara non poteva accettare dopo i mesi trascorsi a preparare l’evento. Ed è così che nella leader indigena si è fatta strada la decisione di organizzare dal 27 al 30 aprile una edizione virtuale dell’Acampamento. Tra i temi trattati: «La salute indigena e il razzismo istituzionale», «I cambiamenti climatici e l’aumento della deforestazione». Abbiamo raggiunto telefonicamente Sonia Guajajara mentre era in corso l’iniziativa e si susseguivano i dibattiti e le attività artistiche e culturali. «E’ una esperienza nuova e straordinaria, stiamo connettendo villaggi e comunità indigene di tutto il Brasile, rinforzando spiritualità e tradizioni, per difenderci dal coronavirus e dalle politiche genocide. In questa edizione virtuale stiamo coinvolgendo leader indigeni di diverse etnie e generazioni, giuristi, ricercatori, antropologi, giornalisti, organizzazioni dei diritti umani. Vogliamo interloquire al nostro interno e con la comunità internazionale per rafforzare la lotta e la resistenza del movimento indigeno».

Quale è la situazione nei territori e come le comunità indigene stanno affrontando questa pandemia?

I popoli indigeni sono in uno stato di allerta. Il contagio ha già coinvolto 26 comunità indigene e 18 di queste sono in Amazzonia, ma il virus è presente anche nelle popolazioni del nord-est e del sud del paese. A fine aprile tra gli indigeni brasiliani si registrano 16 morti e un centinaio di contagiati. La situazione è particolarmente grave nello Stato di Amazonas dove, a fine marzo, si è verificato il primo caso di contagio nelle nostre popolazioni. La pandemia sta colpendo, soprattutto, le comunità che non hanno terre demarcate. Il governo federale non conteggia i casi di contagio che si verificano nelle comunità che vivono fuori dai territori tradizionali. Si tratta di un atto di razzismo istituzionale perché siamo indigeni sia all’interno che all’esterno dei territori demarcati. Stiamo affrontando questa fase con grande preoccupazione perché rischiamo di vivere un altro ciclo del genocidio delle popolazioni indigene. Non ci sono strutture sanitarie per le comunità e non c’è la volontà di intervenire. I Municipi, che sono subentrati ai Distretti sanitari speciali nel controllo della salute indigena, non hanno le competenze e gli strumenti necessari per svolgere una assistenza sanitaria adeguata. La municipalizzazione della salute è una scelta che può avere gravi conseguenze.

La presenza di molte attività illegali nei territori espone la popolazione indigena al contagio. Quali sono le richieste che le comunità rivolgono al governo?

Il governo Bolsonaro incoraggia le attività illegali che favoriscono la propagazione del virus e non protegge la popolazione indigena come stabilito dalla Costituzione. Chiediamo misure che impediscano l’accesso nei territori di tutti coloro che svolgono attività illegali, cercatori d’oro, taglialegna, ma anche dei gruppi religiosi fondamentalisti che demonizzano il modo di vivere, la spiritualità e i saperi tradizionali dei nostri popoli. Chiediamo la formazione di un Comitato di crisi nominato dall’Apib per definire le strategie di protezione delle nostre popolazioni, stabilendo dei protocolli per evitare il contagio e attuando misure necessarie a garantire la sicurezza alimentare. Le misure di protezione e assistenza devono includere gli indigeni che vivono fuori dai territori. Il primo morto da coronavirus nella nostra popolazione ha riguardato un giovane di 15 anni della comunità Yanomami, nell’Amazzonia settentrionale, nel cui territorio si trovano più di 25 mila garimpeiros impegnati in attività minerarie. In tempo di pandemia è urgente la ritirata dai nostri territori di invasori e missionari. Chiediamo un piano permanente di sicurezza e sovranità alimentare per le nostre popolazioni.

Il governo Bolsonaro ha paralizzato il processo di demarcazione dei territori indigeni e ha presentato al Congresso Nazionale una proposta di legge (MP 910/19) che favorisce lo sfruttamento delle risorse naturali dell’Amazzonia. Come si stanno difendendo le comunità?

Bolsonaro rappresenta una minaccia senza precedenti per i territori e i popoli indigeni. Sostiene che bisogna rendere produttive le nostre terre che la Costituzione del 1988 ci ha concesso in usufrutto permanente. Nel primo anno del suo governo non è stata fatta alcuna demarcazione. Il progetto di legge che è stato inviato al Congresso e che autorizza in Amazzonia attività minerarie, costruzione di centrali idroelettriche, deforestazione, attività agroindustriali rappresenta un attacco gravissimo. Per organizzare la difesa ci siamo ritrovati a gennaio per cinque giorni a Piaracu, Mato Grosso, con la presenza di 600 leader indigeni di 45 etnie. Abbiamo rivolto un appello al Congresso per bloccare questo progetto genocida. Poi è arrivato il coronavirus a complicare la situazione. Abbiamo chiesto alla comunità internazionale di difendere i popoli indigeni e l’Amazzonia. Il nostro appello, con la richiesta di una moratoria per tutte le attività economiche che possono favorire la diffusione del virus, è stato sottoscritto da 225 organizzazioni ambientaliste e dei diritti umani di tutto il mondo. C’è bisogno di solidarietà nei nostri confronti.

L’ultimo anno è stato segnato da episodi di violenza nei confronti degli indigeni. E’ stato alimentato un clima di ostilità nei confronti delle comunità, accusate di impedire lo sviluppo del Brasile. Quali sono i dati che misurano questa violenza?

Siamo esposti alla violenza di tutti coloro che svolgono attività illegali, violano i nostri diritti e distruggono la foresta. In questi 16 mesi di governo Bolsonaro si è registrato un forte aumento di azioni violente nei nostri confronti, con il maggior numero di leader indigeni uccisi degli ultimi 11 anni. Nel Maranhao sono stati cinque i rappresentanti indigeni uccisi negli ultimi cinque mesi. L’ultimo assassinio, a fine marzo, è stato quello di Zezico Guajajara che combatteva la deforestazione illegale nel territorio indigeno Arariboia, dove io sono nata. Noi siamo i popoli della foresta e vogliamo prenderci cura di essa. Siamo di fronte a una crisi climatica e ambientale senza precedenti e sappiamo l’importanza che ha l’Amazzonia per la salute del pianeta. Nei territori indigeni è presente l’80% della biodiversità che ancora esiste sul pianeta. Nell’agosto del 2019 il «Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici» ha riconosciuto il ruolo dei popoli indigeni come guardiani della foresta e il contributo che noi svolgiamo nella lotta contro i cambiamenti climatici. La crisi climatica può provocare più danni del coronavirus, costringendoci a una quarantena che può durare decenni. La nostra presenza è una forma di resistenza nei confronti delle politiche di devastazione e preservare la nostra vita significa preservare il pianeta.

Negli ultimi anni le donne hanno assunto un ruolo importante nel movimento indigeno e sono diventate leader autorevoli e riconosciute a livello internazionale. Le donne indigene rappresentano una forza addizionale per il movimento?

Sì, certamente! Il nostro impegno può fare la differenza. Va rafforzata la lotta per i diritti delle donne e della loro salute per rafforzare tutto il movimento indigeno».