Domenica scorsa sono tornati in libertà i due facchini arrestati nel corso dei blocchi organizzati giovedì 23 gennaio davanti alla Granarolo di Cadriano in provincia di Bologna. Entrambi incensurati, i due lavoratori marocchini di 29 anni e di 39 anni, delegati sindacali dei Si Cobas, erano stati accusati rispettivamente di violenza privata, lesioni e di resistenza. Accuse respinte dagli interessati. Marina Prosperi, legale dei delegati sindacali, ha presentato in udienza quattro video che hanno evidenziato le incongruenze tra la ricostruzione fornita dalle forze dell’ordine e quanto è accaduto davanti ai cancelli dell’azienda. La legale ha espresso soddisfazione perché il provvedimento del Gip Alberto Ziroldi ha respinto la richiesta di carcerazione, recependo così una parte della tesi difensiva. Nel provvedimento reso noto ieri il Gip Ziroldi ha descritto la lotta dei facchini sostenuti dal Si-Cobas, da Adl Cobas, dal centro sociale Crash e dal collettivo Hobo come un «atto di resistenza»con «una potenzialità deflagrante, per idoneità emulativa, in un contesto sostanzialmente ostile alle forze “padronali” identificate nella Granarolo e nel consorzio Sgb, sia alle forze di polizia, ritenute il “braccio armato” delle prime». Le indagini continuano.

La lotta dei facchini è stata provocata dal licenziamento di 51 lavoratori del consorzio Sgb, la cooperativa che gestisce i magazzini della Granarolo. Nel sit-in di giovedì durato cinque ore i facchini sono tornati a chiedere il rispetto degli impegni presi da Legacoop e dalla Granarolo nell’estate 2013 e il ripristino del posto di lavoro per i 51 lavoratori licenziati dalla Sgb. Per i Si-Cobas solo nove di loro sono stati riassunti. Tra i 42 ancora disoccupati, e che solo in parte hanno ricevuto la cassa integrazione, sei hanno ricevuto uno sfratto. Questo intendevano denunciare giovedì scorso i facchini con la loro resistenza passiva.

I Cobas e il laboratorio Crash hanno denunciato l’uso dei manganelli e di spray urticanti da parte delle forze dell’ordine. «Metodi visti nel G8 di Genova nel 2001» dicono. Accuse respinte da Vincenzo Stingone, il questore di Bologna, secondo il quale i carabinieri hanno agito con «professionalità». In rete sono consultabili da giorni video dove la tensione è palpabile. Il presidente di Granarolo, Giampiero Calzolari, ha acquistato una pagina sui tre quotidiani bolognesi per denunciare le «ingiuste violenze subite da dieci mesi» e chiedere «di ripristinare la legalità». Sarebbero «ingenti» i danni provocati dalle proteste e dai picchetti ad un gruppo che nel 2012 aveva 923 milioni di euro di fatturato, un miliardo quello previsto per il 2013, con un’ottantina di dipendenti in più. Il sito dell’azienda è stato inoltre oscurato da un intervento rivendicato da Anonymous. Per Legacoop «quello che sta succedendo non ha niente a che fare con una dialettica sindacale. Si tratta di azioni mosse da frange che cercano visibilità, la questione non riguarda solo la Granarolo, che non ha licenziato nessuno».

«Le responsabilità di Granarolo – ha risposto il Si-Cobas – sono quelle di avere appaltato la propria logistica e movimentazione merci a cooperative che non applicavano gli istituti previsti dal contratto collettivo nazionale garantendo per sé lauti profitti facendo leva sullo sfruttamento della forza lavoro, soprattutto immigrata, alle dipendenze delle cooperative in appalto». «La legge italiana prevede che sia proprio il committente, in questo caso la Granarolo, il responsabile» ha aggiunto la confederazione nazionale Cobas che invita le Rsu del pubblico impiego a raccogliere buoni mensa davanti al comune di Bologna in solidarietà con i facchini. Domani è stato convocato in prefettura un tavolo per riaprire la trattativa.

Dall’inizio della vertenza, nel novembre 2012, sono state fatte 283 denunce. Per i blocchi alla Granarolo e alla Ctl del 29 ottobre 2013, sono arrivati sei avvisi di fine indagini, di cui quattro a militanti del Crash, uno ad un esponente del Si-Cobas.