Cosa succede a Bologna a pochi mesi dalle elezioni legislative dell’anno prossimo? In realtà nulla di nuovo, bensì l’evoluzione di politiche che sanciscono rendite di posizione e privilegi acquisiti, seppure aggiornate ai tempi e al clima politico.

Lo sgombero di Atlantide, sede più che decennale di gruppi punk e collettivi lgbt, preceduto e seguito da altri riguardanti immobili occupati da famiglie disagiate o migranti, fotografa bene una situazione di crescente distacco tra la città bottegaia e insofferente, sempre più dedita allo sfruttamento intensivo delle sue risorse umane, gli studenti in primo luogo, e il sottosuolo urbano, rappresentato dai senza casa, dagli immigrati, dai nuovi poveri, che invadono e deturpano il decoro delle strade del centro. A Bologna, oramai dagli anni Ottanta, si è disarticolata quella originaria unità tra Civitas, Urbs e Polis, che ne faceva un esperimento avanzato di inclusione e convivenza tra culture anche molto distanti tra loro.

La Civitas si è da tempo perduta nell’incapacità delle amministrazioni di sinistra, anche di centro sinistra, di attivare spazi pubblici realmente strutturati per includere e formare alla cittadinanza i nuovi arrivati. Lo sgombero di Atlantide, ma più ancora delle case occupate dalle famiglie in difficoltà abitativa, in fondo, rileva di questa incapacità di visione che, sotto il mantello delle legalità, oscura in realtà anche la capacità di vedere oltre una gestione ragionieristica dell’ordine pubblico. L’Urbs poi, cioè l’insieme della cittadinanza e del territorio, è stata da tempo scomposta in quartieri, comuni metropolitani e zone delle città che non comunicano, arroccate più sulle differenze che su di una comune appartenenza: basta voltare un angolo per trovarsi in una città diversa, un poco come avviene nelle megalopoli di ogni parte del mondo, solo che qui siamo in una città di provincia.

Anche i recenti scandali relativi alle lotte di potere tra amministratori della cinta metropolitana e i poteri legati alle speculazioni edilizie scavano un solco profondo all’interno di una citta metropolitana che non decolla nella sua connettività, divisa tra centri e periferie. In quanto alla Polis, l’impostazione con la quale alcuni settori maggioritari del Pd stanno disanimando la vita politica, normalizzando le voci dissidenti o antagoniste, vedi l’ondata di arresti domiciliari che si è abbattuta su alcuni esponenti dei centri sociali, rivela una volontà di spostamento verso destra le future alleanze politiche. È stato in questo modo che non molti anni or sono fu consegnata la città alle destre, la prossima volta forse al Movimento Cinque Stelle o a un ulteriore avanzamento della Lega, già pronti a un ballottaggio molto probabile.

È, dunque, non tanto la vicenda degli sgomberi come problema di legalità, quanto il percorso politico che ha condotto all’epilogo delle dimissioni dell’assessore alla cultura ed a una difficile posizione di quella al welfare, entrambi non del Pd, che deve essere considerata nelle sue implicazioni, almeno per quanto concerne le relazioni tra gli amministratori e i cittadini che li esprimono. Da questo la necessità di ricreare un fronte ampio ed articolato, a più voci e sensibilità, di tutte le forze politiche, associazioni, movimenti, singoli cittadini, che vogliono tornare a contare nelle scelte amministrative di una città, un tempo, esempio di passione civile, e oggi umiliata proprio dalla stessa incomprensione della sua complessità da parte dei partiti già pronti a «ritoccarne» l’impianto degenerativo con qualche aggiustamento di facciata.

Bologna oggi è res nullius, uno spazio metropolitano relativamente ristretto sul quale confluiscono, ogni giorno, quasi il triplo dei cittadini residenti, un’area medievale popolata da una massa di city users che, insieme all’Università con i suoi centomila studenti, impongono logiche di governo ben diverse da quelle di una città che ancora spende gli scampoli della sua reputazione storica. Dov’è finita, in questo contesto, la città di uomini e di donne, di bambini e anziani, di nuovi cittadini di operai e studenti, che rappresentava un modello di livello nazionale? Quel modello non c’è più perché, tra le altre cose, non è più il Comune che lo governa, ma poteri economici che, in maniera non tanto sotterranea, hanno zonizzato la città e preteso, anche ottenendole, zone franche, per il traffico, gli affari privati, e tutto ciò che oggi riduce Bologna a un immenso non luogo senza simbolizzazione alcuna, cioè senza possibilità di creare legami tra chi, non solo la usa, ma la abita e la condivide.

Da questa situazione dovrebbe nascere una proposta unitaria di rilancio dello Spazio Pubblico cittadino, vera forza della buona politica senza le virgolette, da parte di tutte le forze vive di una città che merita di essere restituita ai suoi legittimi proprietari: tutti i bolognesi.