La minaccia lanciata dal presidente turco Erdogan di reintrodurre la pena di morte nel paese, non poteva certo essere ignorata nella sede del partito Radicale dove ieri è stato presentato il rapporto sulla pena capitale nel mondo messo a punto come ogni anno da Nessuno tocchi Caino. «E’ inaccettabile che il presidente di un paese candidato all’ingresso nell’Unione europea dica che se il parlamento decide di reintrodurre la pena di morte, allora si può fare», dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi dando voce a una preoccupazione comune tra i presenti.

I timori dell’esponente di governo sono più che giustificati. E non solo perché l’eventuale decisione di Ankara equivarrebbe a un ulteriore e ancora più pesante arretramento per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani nel paese della Mezzaluna, già messi a dura prova dallo stato d’emergenza dichiarato dopo il fallito golpe del 15 luglio. Nonostante infatti aumenti ogni anno il numero dei paesi che decidono di sospendere in maniera definitiva le esecuzioni, o almeno di applicare una moratoria (oggi sono in tutto 160, 104 dei quali totalmente abolizionisti), le persone che perdono la vita per mano di un boia aumentano sempre più. Nel 2015 sono state 4.040, denuncia il rapporto dell’associazione radicale, a fronte delle 3.576 del 2014. Un incremento al quale hanno contributo paesi come la Cina (2.400 esecuzioni, il 60% del totale), ma anche Iran, Pakistan e Arabia Saudita. A oggi i paesi mantenitori della pena capitale sono 38, contro i 54 del 2005.

La lotta al terrorismo e alla traffico di droga sono le due principali motivazioni per cui molti stati fanno ricorso al boia. «E’ impressionante il numero di persone mandate a morte per droga, ben 713 nel 2015», spiega Elisabetta Zamparutti, responsabile dello studio. «In Iran oltre il 65% delle esecuzioni compiute ha riguardato reati legati alla droga., paese a cui ha fatto seguito l’Arabia Saudita». Nel dettaglio le esecuzioni per droga sono state 64 in Arabia Saudita, 13 in Indonesia, almeno 632 in Iran, 3 a Singapore. Più un numero sconosciuto in Cina. Una tendenza confermata anche nei primi sei mesi del 2016, con 116 persone condannate a morte per lo stesso reato soprattutto in due paesi, Arabia Saudita (11) e Iran (almeno 105). Mistero, come al solito, sul numero delle esecuzioni compiute in Cina.

Ma, come abbiamo detto, si uccide anche in nome della lotta la terrorismo. «Paesi autoritari e illiberali – è scritto nel rapporto di Nessuno tocchi Caino – hanno continuato nella violazione dei diritti umani al proprio interno e, in alcuni casi, hanno giustiziato e perseguitato persone in realtà coinvolte solo nella opposizione pacifica o in attività sgradite al regime». 12 i paesi responsabili complessivamente per la morte di 100 persone: Arabia Saudita (almeno 2), Bangladesh (4), Ciad (10), Cina (almeno 3), Egitto (7), Emirati Arabi Uniti (1), Giordania (2), India (1), Iran ((almeno 1), Iraq (almeno 30), Pakistan (30) e Somalia (almeno 9). Sono 121 le persone giustizia invece nel 2016 per terrorismo. Ma si può essere uccisi anche per reati non violenti o addirittura politici o d’opinione, nel 2015 è successo in Cina , Corea del Nord (almeno 13) e Iran (almeno 15).

Da questo orrore di Stato non si salvano, purtroppo, neanche i minori sebbene l’esecuzione di persone che avevano meno di 18 anni nel momento in cui hanno commesso il reato sia in contrasto con quanto previsto da alcuni trattati internazionali. Nel 2015 sono stati uccisi 3 minori in Iran e 6 in Pakistan, mentre 7 sono quelli uccisi quest’anno (3 in Arabia saudita e 4 in Iran).

Infine un ricordo di Marco Pannella. Al leader radicale, morto a maggio e protagonista di numerose battaglie contro la pena di morte, è stato assegnato il premio «L’Abolizionista dell’anno», denominazione che per l’occasione è stata cambiata in «L’Abolizionista del Secolo».