La politica che l’aveva fatta da padrona nelle due precedenti edizioni dei Golden Globes – a partire dal 2017 quando la cerimonia si era svolta pochi giorni prima dell’insediamento ufficiale di Donald Trump – quest’anno è rimasta del tutto in secondo piano: a far parlare di sé è stato soprattutto l’inaspettato premio conferito a Bohemian Rhapsody di Bryan Singer/Dexter Fletcher – di Singer, colpito da accuse di molestie e non invitato alla serata, non si è fatta menzione alcuna, ma lui su Instagram ha ringraziato per il premio – su cui in pochi avrebbero puntato contro A Star is Born di Bradley Cooper, che invece ha vinto solo per la miglior canzone con Shallow.

IL PREMIO a Rami Malek nei panni di Freddie Mercury come miglior attore era invece atteso da tutti, così come quello a Christian Bale nella categoria musical/commedia per Vice. Ed è stato proprio Bale a fare il discorso più apertamente «politico» della serata quando ha ringraziato Satana: «Per avermi dato l’ispirazione su come interpretare questo ruolo» – e cioè quello dell’ex vicepresidente repubblicano Dick Cheney. Il regista Adam McKay nella ricerca di un attore per interpretare Cheney voleva «qualcuno senza nessun carisma e detestato da tutti», ha scherzato Bale facendo infuriare la figlia di Cheney che lo ha attaccato su Twitter. «Che ne pensate, il prossimo sarà Mitch McConnell?», ha aggiunto l’attore riferendosi al leader della maggioranza repubblicana al senato Usa.

Vincitrice del premio come miglior attrice in un film drammatico – The Wife, mentre per la commedia ha vinto Olivia Colman per la sua parte in The Favourite di Yorgos Lanthimos – Glenn Close ha fatto il discorso più applaudito della serata: «Noi donne dobbiamo poter trovare una realizzazione personale, seguire i nostri sogni. Dobbiamo poterci dire ’Posso farcela’, e dovrebbe esserci consentito farlo».

Roma di Alfonso Cuarón ha vinto sia miglior film straniero che regia, e il regista nel suo discorso di ringraziamento ha evocato senza nominarla l’ossessione di Trump, il muro al confine con il Messico, elogiando il cinema «che abbatte i muri e costruisce ponti verso le altre culture».

INTERVISTATO dalla stampa dopo la cerimonia, Cuarón ha anche difeso Netflix quando gli è stato chiesto se la vittoria di un film della piattaforma segnasse la morte del cinema indipendente: «La mia domanda per lei – ha risposto il regista – è quanti cinema pensa che un film messicano, in bianco e nero, in spagnolo e mixteco, senza star, avrebbe raggiunto con una normale distribuzione? Non si è trattato di una distribuzione di facciata, il film è uscito un mese fa e ancora viene proiettato nelle sale».