Silvio Berlusconi ha trovato un buon alleato in Bob Lady, ex agente della Cia condannato per il sequestro dell’imam egiziano Abu Omar. Ieri quest’ultimo ha inviato una lettera al nostro capo dello Stato per chiedere la grazia o la commutazione della pena per il caso che lo riguarda. L’eventuale accoglimento della richiesta potrebbe rappresentare un segnale di apertura anche nei confronti del leader del centro-destra. Nel comunicato del 13 agosto, infatti, Napolitano ha indicato le condizioni necessarie affinché un atto di clemenza possa essere adottato nei confronti di Berlusconi. Tra queste, da un lato, la giurisprudenza, dall’altro, la prassi seguita in passato. Ora, mentre la giurisprudenza costituzionale renderebbe assai ardua la concessione della grazia, la prassi fin qui seguita appare più controversa.
Secondo la Consulta il potere presidenziale può essere esercitato solo «per eccezionali ragioni umanitarie», non potendo fondarsi su motivazioni esclusivamente politiche. Nel caso del leader del centro-destra è palese invece che sia proprio la ragione politica a porsi a fondamento della richiesta.
Se ci si dovesse attenere alla giurisprudenza più recente non si vede come il presidente della Repubblica possa concedere la grazia a Berlusconi. Le tesi dei favorevoli alla pacificazione politica tramite l’atto di clemenza presidenziale al leader di uno dei partiti che sostengono l’attuale Governo cercano allora di fare affidamento su alcuni precedenti, in verità assai controversi e – almeno sino ad ora – isolati. “Precedenti” specifici, non interpretabili come “prassi” consolidata.
Valgano i numeri. Napolitano ha concesso 23 grazie, solo in due casi i profili “umanitari” sono risultati essere recessivi rispetto a quelli politico-diplomatici. Nel primo caso s’è trattato di porre fine a una vecchia questione relativa a 5 terroristi altoatesini, ai quali, dopo 40 anni, sono state cancellate solo le pene accessorie. Furono vivaci le polemiche in quel caso. Soprattutto da parte del Pdl: fu l’onorevole Michaela Biancofiore a esprimere «la più profonda indignazione per la decisione di concedere la grazia ai terroristi». Un secondo caso di grazia politico-diplomatica è stata quella concessa al colonnello Joseph Romano, coinvolto anch’egli nel sequestro di Abu Omar, adottata sia su sollecitazione dell’amministrazione statunitense sia per favorire la soluzione dei nostri marò detenuti in India. Anche questo secondo intervento fu ritenuto del tutto eccezionale e fuori dai criteri “umanitari” dettati dalla Corte costituzionale.
Ora, il caso dell’ex agente dalla Cia pone per la terza volta il problema di una richiesta di grazia finalizzata a dare soluzione a political questions. Se anche in questo caso il Presidente dovesse alla fine attivarsi, allontanandosi dalle indicazioni della Corte costituzionale, qualcuno potrebbe cominciare a far valere i troppi precedenti controversi alla stregua di una (più o meno) consolidata prassi.
C’è da aggiungere che, in ogni caso, una differenza fondamentale rimarrebbe. In tutti e tre gli episodi richiamati, infatti, la ragione politica che ha motivato gli atti di clemenza (o la loro richiesta) era unita a una ragione diplomatica e di rapporti con gli altri Stati: l’Austria per la vicenda dei terroristi altoatesini, gli Stati Uniti per le questioni collegate a Abu Omar. Nel caso di Berlusconi, francamente, non si vedono ragioni di carattere internazionale da far valere. Ciò dovrebbe, in ogni caso, far continuare a rendere difficilmente praticabile la soluzione “politica” della grazia per il leader del Pdl. Ma accrescendo la confusione si può sempre sperare di rendere meno limpido il cielo.