Il «principino rosso» Bo Xilai è stato condannato all’ergastolo dalla corte cinese di Jinan; secondo fonti cinesi Bo Xilai ricorrerà in appello. Pare che alla sentenza abbiano contribuito non poco Xi Jinping, il Presidente e i leader politici nazionali, intenzionati a chiudere nel dimenticatoio storico il modello di sviluppo economico proposto da Bo, contrario alla strada intrapresa da Pechino. È una pena superiore a quanto ci si aspettava e che ha come principale mira quella di fiaccare per sempre l’«agibilità» politica di Bo Xilai. Che avrebbe intascato oltre tre milioni di dollari in mazzette, abusando inoltre della sua posizione per impedire le indagini sull’omicidio di Neil Heywood, l’uomo britannico ucciso – per la giustizia cinese – dalla moglie di Bo, Gu Kailai, condannata alla pena di morte sospesa. Nel dettaglio, Bo è stato condannato all’ergastolo per il reato di corruzione, a quindici anni per appropriazione indebita, e a sette anni per abuso di potere.
La famiglia Bo Xilai finisce la propria epica cavalcata politica con due ergastoli, che pesano come macigni sulle ambizioni di quella fazione «neo maoista» a capo della quale si era stagliata la stella politica di Bo Xilai. L’ergastolo è visto da tutti gli osservatori internazionali come l’estremo tentativo della politica locale di tirare una riga sul cosiddetto «modello Chongqing», foraggiato dallo stato, vicino al popolo, ma anche in grado di eliminare i rivali politici e rasentare una vera e propria sfida ai vertici, che avevano ormai scelto una strada diversa, fatta di future privatizzazioni, diminuzione dei prestiti bancari e smantellamento delle aziende di stato. Rimane da capire quanto l’eredità politica di Bo Xilai accuserà il colpo: subito dopo il suo arresto, altri della sua cricca erano finiti in carcere o tagliati fuori da meccanismi di potere, ma negli ultimi tempi se c’è una fazione viva e agguerrita nel Partito Comunista, sembra proprio essere quella «neo maoista». L’ergastolo a Bo è un segnale di forza di Xi Jinping, che pure sta cercando di tirare dalla propria parte gli orfani dell’ex leader di Chongqing.
Bo Xilai, apparso sui media con le manette, stretto tra due poliziotti, ha raccolto negli anni un seguito popolare enorme; molti cinesi lo ritenevano come l’uomo adatto a guidare la Nuovissima Cina. Un leader capace di entrare nel cuore e nei radar della popolazione, da tempo molto distante dalle questioni politiche nazionali. Per la stampa locale Bo Xilai trascorrerà la propria condanna in un carcere presso Pechino, in un istituto di pena descritto come una sorte di carcere a cinque stelle: la giusta dimora per l’esilio politico di un «principino».
Le accuse contro Bo Xilai, in realtà, contano poco, perché il processo, così come la sentenza, ha principalmente motivazioni politiche. È stato eliminato perché la sua proposta politica andava in senso contrario al modello di sviluppo cinese e alle ricette economiche che la leadership si appresta a varare. Quello cinese – fino a poco tempo fa – era un progetto che spingeva per la crescita del prodotto interno lordo, basato sull’export, ancora prima che sulla capacità della popolazione di consumare; il regno di Bo Xilai a Chongqing, andava in una direzione opposta: dopo la campagna «go west» lanciata a inizio 2000 dal governo centrale, Bo Xilai ha utilizzato i finanziamenti statali e i prestiti delle banche per migliorare la vita dei cittadini di Chongqing; anche a questo si deve la sua popolarità, al di là delle etichette con cui la stampa internazionale ha sempre dipinto Bo. A Chongqing, l’amministrazione dell’ex leader deposto, ha ricostruito le infrastrutture locali, ha sperimentato nel campo dell’edilizia e il prodotto interno della città è cresciuto al ritmo del 15,8 percento, mentre la Cina viaggiava «solo» al 10 percento. Bo Xilai ha spinto sui finanziamenti statali per migliorare la capacità di consumare dei cittadini: anche per questo la «Gotham City cinese» non ha sofferto più di tanto la crisi, perché gran parte della produzione era destinato al mercato interno, anziché a quello estero.
Chongqing inoltre, aveva speso 15 miliardi di dollari per la costruzione di 13 milioni di metri quadrati di edilizia residenziale pubblica per le famiglie povere e prevedeva un piano di altri 40 milioni di metri quadrati capaci di accogliere fino a due milioni di persone. Chongqing sotto Bo Xilai, ha emesso tre milioni di hukou, ovvero i permessi di residenza urbana che ancorano al luogo di residenza quel minimo di welfare garantito dallo stato. Questo ha significato garantire ai lavoratori migranti che giungevano a Chongqing per impegnarsi nell’ambito di progetti finanziati dal settore pubblico, l’accesso alle cure sanitarie, l’istruzione e la sicurezza sociale. Si tratta di pratiche uniche in Cina, molto più importanti per valutare l’impatto della caduta di Bo di quanto non dicano le note ricette populiste, basate sul recupero di alcuni valori maoisti (le campagne dei canti rossi, i milioni di sms con le citazioni di Mao o ancora l’invito ai giovani a trasferirsi in campagna per «imparare dai contadini»). Secondo alcuni osservatori, inoltre, anche la campagna contro le triadi, «picchia il nero», ha sicuramente portato alla fine di molti nemici politici di Bo, ma avrebbe creato una città molto più «sicura». Il modello di Chongqing – ha scritto Kevin Lu su Foreign Policy – «è stato un esperimento audace nell’uso della politica e delle risorse statali per promuovere gli interessi della gente comune, pur mantenendo intatto il ruolo del partito e dello Stato».
Non solo interventi statali, perché Bo Xilai ha saputo strappare molte «commesse» delle multinazionali straniere ai centri nevralgici della vita economica e politica della Cina. Riuscire ad accaparrarsi i brand internazionali, ha significato spesso calpestare piedi di funzionari molto vicini a Pechino: un altro degli elementi che ha contribuito alla sua caduta. Le aziende straniere presenti negli hub industriali di Chongqing, infatti, producevano per il mercato interno. La Hewlett-Packard, ne è un esempio: nel 2008 aveva annunciato la creazione di uno stabilimento per la produzione di computer e nel 2011 aveva annunciato la nascita di un centro d’eccellenza cinese, destinato a produrre per le caratteristiche del mercato interno cinese.
Questa proposta economica, con un massiccio uso dello stato e delle aziende statali nel creare reddito e posti di lavoro, ben presto ha preoccupato la leadership pechinese. I vertici del Partito – ad eccezione dell’allora numero nove Zhou Yongkang, considerato uno stretto alleato di Bo Xilai – visitarono raramente il regno di Bo e di fronte alla sua capacità di presentarsi come leader moderno, occidentale, in grado di gestire i media, hanno colto al balzo l’occasione della fuga di Wang Lijun – ex braccio destro di Bo – al consolato americano di Chengdu, per spingere l’acceleratore sulla sua eliminazione politica.
È questo modello uno dei riferimenti della «nuova sinistra», molto più rilevante nelle motivazioni circa la caduta di Bo, dei tratti neomaoisti propagandati e che hanno fatto breccia su quelle frange di sinistra, ancorate al maoismo più come proposizione retorica e nazionalistica, che come soluzione economica «socialista».