Mentre il paese continuava ad assistere al le proteste degli oppositori del governo, il primo ministro thailandese, Yingluck Shinawatra riusciva a superare indenne un voto di sfiducia parlamentare (297 voti a favore del governo e 134 contrari), che potrebbe rafforzare la sua posizione di fronte agli oppositori. La situazione rimane di difficile interpretazione, con proteste che hanno ampiamente superato i confini della capitale Bangkok e si sono ormai diffuse in tutto il paese, specie al sud. Come abbiamo appreso dai media nazionali, i contestatori fanno principalmente riferimento ai democratici e ai monarchici, rappresentazione di quelle fasce di popolazione dell’élite urbana, che hanno sempre visto in malo modo l’ex leader Thaksin, che pure ha vinto i confronti elettorali dal 2001 ad oggi, finendo poi esiliato nel 2008 perché accusato di corruzione. Thaksin, rappresentante delle cosiddette «camice rosse», avrebbe invece intercettato i voti delle classi più povere, attraverso manovre economiche che secondo molti studiosi e osservatori asiatici, avrebbero di fatto consentito di superare la crisi che nel 1997 attanagliò i paesi asiatici definiti allora come «le tigri» dell’economia mondiale. Secondo Walden Bello, ad esempio, Thaksin contribuì in maniera decisa a sottrarre il paese alla ricetta neoliberista che aveva finito per mettere in ginocchio la sua popolazione a fine anni 90, attraverso politiche popolari, sostenute dallo Stato, in grado di creare un nuovo «contratto sociale» con la popolazione, attraverso prestiti bancari ai contadini e un welfare migliorato e più esteso rispetto alla precedente sbornia neoliberista. L’ex leader, però, è altresì un personaggio discusso e discutibile, ex poliziotto e poi re delle telecomunicazioni, che avrebbe perso la fiducia delle classi borghesi urbane a causa di sospette operazioni, che hanno finito per farlo condannare per conflitto di interessi. La sorella, l’attuale primo ministro, è accusata dai suoi oppositori di essere un «fantoccio» nelle mani di Thaksin. In teoria tutto era nato con la proposta di una legge di amnistia che secondo monarchici e democratici, sarebbe stata una scappatoia per permettere a Thaksin di tornare.
C’è infine da considerare come il caos politico thailandese, abbia origine proprio dal suo concepimento: come sottolinea in un paper lo studioso Michael Nelson, le istituzioni democratiche sono state introdotte nel 1936, ma hanno trovato spazio all’interno di una situazione politica in cui alcune forze – i monarchici e l’esercito su tutti – ritengono di avere una sorta di diritto superiore nel guidare la popolazione. Come tutte le nuove democrazie, falcidiate dai processi economici neoliberisti, la Thailandia vede quindi la stessa crisi della rappresentanza che si può ritrovare nelle democrazie occidentali: in Parlamento siedono gruppi economici completamente distaccati dai reali bisogni della popolazione, rappresentazione di gruppi oligarchici ben definiti.