Un conto salatissimo aspetta lo Stato italiano se la Corte Costituzionale boccerà il blocco della contrattazione nel pubblico impiego. Il costo per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici per il quinquennio 2010-2015 potrebbe non essere inferiore ai 35 miliardi di euro. Per l’Avvocatura dello Stato dal 2016 il rinnovo potrebbe avere un «effetto strutturale di circa 13 miliardi di euro».

Sono i dati presentati nella memoria, e resi noti ieri dall’Ansa. Il documento è stato firmato dall’avvocato dello Stato Vincenzo Rago ed è stato inviato alla Consulta in vista dell’udienza sulla legittimità del blocco della contrattazione nel pubblico impiego. La seduta si terrà il 23 giugno. Tra le possibilità c’è anche quella di una bocciatura. In questo caso lo stato italiano dovrà allentare i cordoni della borsa, contraddire uno dei pilastri delle politiche economiche dell’austerità e procedere al rinnovo dei contratti di 3,3 milioni di lavoratori pubblici che lo aspettano da 6 anni.

Considerate le cifre dell’avvocatura dello Stato, l’impatto sui bilanci potrebbe essere ben più pesante della decisione sull’incostituzionalità del blocco delle indicizzazioni delle pensioni deciso dal governo Monti. Il governo Renzi ha dovuto ricorrere alla misura straordinaria di un decreto ad hoc per affrontare questa spesa. Sull’impatto economico delle disposizioni censurate, in relazione agli articoli 81 e 97 della Costituzione, l’avvocatura generale ha confermato che «i rilevanti effetti finanziari derivanti dall’intervento normativo che si esamina sono evidenti». Alla luce anche della riforma dell’articolo 81, quello sul vincolo di bilancio, i 35 miliardi potrebbero mandare i conti già precari in tilt.

«Di tali effetti non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale che ha riscritto l’articolo a partire dalla disposizione secondo la quale lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Ad avviso dell’avvocatura il blocco della contrattazione non ha penalizzato i sindacati le cui prerogative «risultano salvaguardate e si sono estrinsecate, tra l’altro, nella partecipazione all’attività negoziale per la stipulazione dei contratti integrativi (Ccni), sia pure entro i limiti finanziari normativamente previsti» e «di contratti quadro». Dunque, nonostante il blocco, in questi anni le procedure hanno avuto luogo, e i contratti collettivi nazionali sono stati rinnovati «sia pure per la sola parte normativa».

Lo attesterebbe “l’intensa attività contrattuale che è stata svolta, anche in pendenza del nuovo complesso normativo, e ha riguardato sia la contrattazione integrativa che quella nazionale». Per il segretario generale della Confsal Unsa, Massimo Battaglia, i numeri dell’avvocatura generale sono «gonfiati» e «volti a spaventare». «Questa non è più una Repubblica fondata sul lavoro ma sul pareggio di bilancio» aggiunge Battaglia. La Confsal Unsa è uno dei sindacati ricorrenti sulla legittimità costituzionale del blocco degli stipendi nel pubblico impiego, intende smentire «categoricamente quanto dichiarato dal governo per il tramite dell’Avvocatura generale che ne fa la difesa».

Il costo complessivo comprensivo dell’inflazione reale a partire dal 2010 sarebbe di 30 miliardi comprensivo degli oneri previdenziali e assistenziali e delle imposte a carico del datore di lavoro. Per il bilancio pubblico l’indebitamento netto sarebbe pari alla metà di questa cifra: 15 miliardi di euro. A regime, nel 2017, il costo sarebbe di 6,9 miliardi di euro, comprensivo degli oneri e dei costi per i datori di lavoro. Alla Consulta, Battaglia chiede una decisione autonoma, così come avvenuto sulle pensioni.

«Si tratta di stime gonfiate fatte per fare pressione sulla Corte – conferma Marco Carlomagno, il segretario generale della Flp, autrice di un altro ricorso – Sono somme che in questi anni sono state sottratte alla disponibilità dei lavoratori rendendo sempre più precario il loro potere d’acquisto ormai ai limiti delle soglie di povertà». Per il responsabile dei settori pubblici della Cgil, Michele Gentile, bisogna rovesciare l’impostazione che ha portato al blocco dell’indicizzazione delle pensioni senza che nessuno sollevasse l’allarme. Ma in questo caso bisogna rendere trasparenti i criteri che hanno portato a totalizzare la cifra dei 35 miliardi: “L’indicazione è oggettivamente alta – sostiene Gentile – Se il calcolo è stato fatto sull’intero articolo 9 del dl 78 del 2010 prende in considerazione non solo il blocco dei contratti ma anche gli stipendi individuali, gli scatti di anzianità, il blocco delle carriere, le promozioni, ecc. Il danno economico c’è stato sicuramente, ma va reso trasparente».