La visita blitz in Iraq del premier Matteo Renzi decisa per la giornata di oggi, proprio nelle stesse ore in cui le commissioni Difesa e Affari esteri di Camera e Senato si riuniscono in seduta congiunta straordinaria alla presenza delle ministre Mogherini e Pinotti per pianificare la fornitura di armi italiane ai peshmerga kurdi, solleva appena qualche malumore in Parlamento.
«Francamente mi chiedo quale sia la linea del governo e cosa vada a dire Renzi domani alle massime autorità irachene», protesta per esempio il senatore di Fi Francesco Giro. Ma le critiche si sollevano anche da Sel e dal Movimento 5 Stelle. Da presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, Renzi ha avuto nei giorni scorsi colloqui telefonici sia con Barack Obama che con il presidente turco Erdogan. Ma mentre questa mattina il premier italiano atterrerà a Baghdad per incontrare il presidente Fuad Masum e poi anche il premier uscente Nouri al Maliki e quello incaricato Haider al Abadi, prima di trasferirsi ad Erbil per un faccia a faccia con il capo del governo regionale del Kurdistan, Masud Barzani, con annessa visita lampo in un campo profughi, a Roma le quattro commissioni parlamentari – che si riuniranno a ranghi ridotti un po’ per protesta (Sel invierà solo i capigruppo di commissione) e un po’ per le vacanze agostane – dovranno discutere di come riuscire a inviare in tempi brevi e utili alle milizie kurde l’armamentario italiano già pronto per la spedizione nei bunker dell’isola di Santo Stefano a La Maddalena (visitata non a caso dalla ministra Pinotti lunedì scorso), riuscendo ad evitare insidiosi spazi aerei.

Ieri il governo regionale del Kurdistan, tramite l’Alto Rappresentante in Italia e presso la Santa Sede, Rezan Kader, ha precisato di aver «bisogno di armi, non di soldati stranieri» per arginare l’avanzata dei jiahadisti dell’Isil. «Quelle poche armi che abbiamo risalgono all’epoca di Saddam – ha detto Kader – Il governo di Nuri al Maliki infatti non ci ha mai fornito equipaggiamento militare. Ma noi non vogliamo attaccare nessuno, solo vivere in pace. Il nostro obiettivo finale è costruire una cintura di sicurezza intorno al Kurdistan».

Armi di cui si parlerà nella riunione dei 140 membri (sulla carta) delle quattro commissioni parlamentari: 30 mila fucili d’assalto kalashnikov di produzione sovietica e relativo munizionamento, sequestrati 20 anni fa ad una nave da trasporto partita dall’Ucraina e diretta a Spalato, sono già pronti nei forzieri sardi de La Maddalena, e potrebbero essere donati insieme a armi «non letali» come puntatori laser, dispositivi anti-bomba, giubbotti antiproiettile, sistemi di comunicazione radio.

Il tutto potrebbe essere trasportato con un aereo militare fino alla base della Task force air di Al Bateen, negli Emirati Arabi, dove opera da 12 anni un distaccamento militare italiano. Da qui poi potrebbero prendere il volo vero il Kurdistan iracheno a bordo di aerei C-130J, della 46 brigata aerea di Pisa di stanza negli Emirati, già equipaggiati con le dotazioni di protezione dai radar e dai missili, indispensabili per sorvolare le zone di conflitto. Oppure le armi potrebbero raggiungere gli Emirati Arabi via nave, sacrificando però, con i 21 giorni di viaggio, la rapidità dell’operazione di guerra.
Ma per Sel «armare i kurdi significa delegare a loro quello che dovrebbe essere fatto da una forza internazionale a guida Onu», come dice il coordinatore Nicola Fratoinanni. E per il senatore grillino Lorenzo Battista, segretario della commissione Difesa, «se il governo si dice che “informerà” sicuramente è una decisione già presa». Non a caso, infatti, la ministra della Difesa Roberta Pinotti ha inserito anche una visita lampo ai bunker de La Maddalena durante il suo tour alle servitù militari in Sardegna, sollevando forti polemiche: «La gita fuori porta della ministra è costata allo Stato non meno di 25.000 euro», ha denunciato il deputato di Unidos, Mauro Pili.

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Voci di protesta che difficilmente disturberanno la riunione parlamentare di oggi: «C’è una minaccia non solo per le popolazioni martoriate, ma anche per tutto l’occidente – ha detto ieri Casini, presidente della commissione Affari esteri del Senato – Il Parlamento deciderà seguendo i precedenti delle procedure parlamentari e garantendo totale copertura al governo». Anche senza voto, anticipa Casini, «che non è obbligatorio».