William Blake fa la sua prima esposizione pubblica nel 1809, al piano nobile di una palazzina ad angolo di Broad Street, al di sopra della merceria familiare, nel quartiere di Soho. Un quartiere fino ad allora caratterizzato da un fiorente artigianato che è in piena crisi a causa dell’industrializzazione incalzante. Il momento storico e il luogo scelto non sono propizi al giovane Blake, che nondimeno spera gli venga riconosciuto il titolo di genio del suo tempo. La delusione lo coglie in pieno. Il bilancio di un’esposizione durata oltre dodici mesi è di pochissimi visitatori, nessun acquirente, l’unica recensione una stroncatura. Sul giornale di sinistra «The Examiner», il critico Robert Hunt definisce Blake «un lunatico sfortunato», i suoi disegni «mal eseguiti», e valuta il catalogo un «guazzabuglio di assurdità». Se Blake crede che la sua mostra sia il supremo dovere tributato al proprio Paese, Hunt pensa sia un dovere arrestare «le ebollizioni di un cervello turbato».
Blake sente di poter adempiere al meglio al proprio impegno dipingendo in uno spazio pubblico su grande scala. Ha immaginato questo destino per le prime due opere nella sua mostra, invero due tempere su tela: The Spiritual Form of Nelson Guiding Leviathan e The Spiritual Form of Pitt Guiding Behemoth. Sostenendo di aver avuto la visione dei grandi monumenti dell’Asia, «simili a quelle Apoteosi dell’antichità persiana, indù ed egiziana», Blake è certo di ricevere una commissione nazionale per eseguirli, come dice, «in un affresco rifinito, dove i colori saranno puri e permanenti come pietre preziose, e tutte le figure devono stagliarsi ad un’altezza di cento piedi».
Questa affermazione sorprende per due motivi. Il primo è l’evidente contrappunto tra la scala monumentale cui ambisce l’artista e le minutissime rappresentazioni dei suoi libri. In secondo luogo, l’iconografia allegorica di Blake è profondamente ambigua e inconciliabile con una pittura di storia che in prima istanza si premura di insegnare e comunicare chiaramente i valori a cui il pubblico deve aspirare. Nonostante l’aura che li circonda, l’eroe della Battaglia di Trafalgar, l’ammiraglio Lord Nelson, e l’ex primo ministro William Pitt sono presentati come mitici guerrieri anarchici, inclini alla distruzione e al comando di bestie bibliche, il Leviatano e il Beemot appunto, che Blake vede come simboli di una bellicosa Apocalissi.
Ora, oltre all’esplicito valore sovversivo dei suoi eroi, bastino le dichiarazioni di Blake contro le guerre in corso con la Francia per sollevare più di qualche perplessità sulla possibile commissione pubblica vagheggiata dall’artista. In più, la sua predilezione per l’acquerello – di cui l’ambizioso Blake vedeva l’intima parentela con l’affresco – lo esclude sistematicamente da ogni riconoscimento ufficiale. È contro la cultura ufficiale che egli scaglia i sui anatemi. Noto è infatti che solo a partire dal 1810 la Royal Academy di Londra riconosce dignità pittorica a tale mezzo espressivo, e nonostante ciò l’insoddisfazione di Blake non è placata, vista la sua eccentricità anche in questa tecnica, che l’artista sviluppa sui generis come parte dell’incisione.
Con tutte le ambizioni, delusioni e idiosincrasie che reca in sé, e insieme alla proiezione su larga scala delle opere di cui abbiamo appena parlato, questa prima esposizione di Blake è ora riproposta e riprodotta all’interno di un’ampia mostra alla Tate Britain fino al 2 febbraio. Curata da Martin Mayrone e Amy Concannon, è la più grande realizzata nelle ultime due decadi sulla sua attività di artista visivo, con l’intento di ripercorrerne la vicenda umana nei tempi e nei luoghi della creazione artistica. La modernità di Blake resta un dato irrecusabile. Ma in controtendenza a tante retrospettive che mettono in luce questo aspetto, la presente mostra ha in sé il pregio di riportare le opere al loro contesto originario per meglio condurre il visitatore a osservare le complesse invenzioni compositive con sguardo meno mitizzante sull’artista e forse più cosciente dei contesti culturali e sociali in cui egli andava lavorando le sue visioni.
Abbiamo accennato alle particolari soluzioni tecniche trovate da Blake. Ad esempio il suo metodo dell’«acquaforte a rilievo», annunciato dall’artista già nel 1783, è stato sviluppato intorno al 1788. Blake non lascia nessuna «ricetta» al riguardo. Vi sono invece degli aneddoti visionari e commenti dall’oscuro contenuto allegorico rilasciati dall’artista stesso. In The Marriage of Heaven and Hell del 1790 ha immaginato gli acidi e gli effetti corrosivi della stampa a rilievo in termini demoniaci, quando scrive ad esempio che «l’idea che l’uomo abbia un corpo distinto dalla sua anima deve essere respinta; questo lo porterò a compimento, stampando secondo il metodo infernale, con i corrosivi, dissolvendo le superfici apparenti e mostrando l’infinito che vi si nasconde». Come bene rileva in catalogo Mayrone, l’azione stessa di creare un disegno sulla lastra di rame è già di per sé una forma di rivelazione, in cui si allineano l’atto tecnico del fare una stampa con il dramma apocalittico che sembra svolgersi nel mondo sulla scia della Rivoluzione francese.
A differenza di un’incisione tradizionale, in cui nella traccia del disegno viene forzato l’inchiostro, nell’incisione a rilievo sono le superfici rialzate a essere coperte di inchiostro e stampate. Anche se nei dettagli questo metodo è ancora in discussione, si può dire che invece di incidere nel rame, Blake disegna o dipinge sulla superficie della lastra con un liquido particolarmente resistente, in modo che quando si applica l’acido le aree rimangono sollevate e possono essere stampate. Blake usa differenti inchiostri colorati, stampando un determinato libro con colori contrastanti o dando diversi effetti cromatici su una singola lastra. Con l’aggiunta successiva di acquerelli e disegni lineari a inchiostro le qualità pittoriche delle diverse versioni di un determinato libro possono variare significativamente. Qualsiasi lastra singola può essere stampata in monocromo, in diversi colori o con l’aggiunta di acquerelli.
In mostra questa particolarità è enfatizzata dalle due tavole affiancate del frontespizio per America a Prophecy del 1793, in cui la tavola è una volta realizzata come un’acquaforte tradizionale, con una dominante di blu a tratteggio diffuso per i toni e i mezzitoni; e un’altra volta è stampata a rilievo con campiture di bruni, e aggiunte di inchiostro nero e acquerello. Ogni libro di Blake è dunque multiplo e unico al contempo: segue cioè una logica di stampa convenzionale per la riproducibilità tecnica delle pagine; e allo stesso tempo è anticonvenzionale per l’impronta cromatica fortemente identitaria data a ciascun libro. Per questo è difficile sapere quale edizione sia nata prima. Ma di sicuro oggi e in questa mostra si dà conto e si mette in rilievo il ruolo della moglie di Blake, Catherine, nella stampa e soprattutto nella colorazione delle tavole. Unica persona a poter mettere mano sui suoi lavori, Catherine è ritratta da Blake con un filo vibrante di matita nel 1805. La testa è china, intenta a lavorare su qualcosa che non si vede. È concentrata, evanescente. Le sue mani scompaiono nel dare corpo cromatico alle visioni del marito. È lei, insieme a pochi altri estimatori e mecenati, ad accompagnare fedele le sue laboriose visioni. Visioni come immagini residenti e resistenti in una del tutto mitica Albione.