A Venezia Spike Le terrà una master class su innovazione ed evoluzione del linguaggio del cinema nell’era delle serie tv e nuove sinergie fra fiction e forme documentarie. Innovatore lui stesso e vorace cinefilo, Lee salirà in cattedra con le giuste credenziali e soprattutto come eminente voce african-american del cinema americano per gli ultimi tre decenni. She’s Gotta Have it, il suo esordio, fu un film fondamentale per come introduce uno sguardo e una voce risolutamente black nel panorama del cinema americano. E mentre quel film viene ora rivisitato da Netflix in versione series, il prossimo anno ricorre il trentennale di Do The Right Thing, pietra miliare dell’opera di Lee e manifesto “storico” su identità e rapporti razziali (in quel caso sulle faglie fra neri e italoamericani nella sua Brooklyn).

Spike arriverà al Lido un paio di settimane dopo l’uscita in patria di BlackKklansman il film che ha trionfato a Cannes e Locarno e segnato il ritorno alla militanza artistica delle sue origini e che promette di essere uno dei suoi di maggiori successi con un fatturato previsto di $40 milioni. Klansman è, tra l’altro, una feroce invettiva contro l’America vomitata da Trump, un film che crea un intenzionale cortocircuito fra i fantasmi suprematisti della cattiva coscienza nazionale e le intemperanze fascistoidi dell’attuale rigurgito nazional populista. Non casualmente il regista ha voluto distribuirlo in sala nel primo anniversario esatto della strage neonazista di Charlottesville.La storia del poliziotto nero che indaga sul Ku Klux Klan cita Stokley Carmichael e le Pantere Nere, remixa godardianamente clip di Via Col Vento e Birth of Nation come referti di un razzismo fisiologico e metabolizzato e chiude sulle immagini del nuovo estremismo sostenuto dalla Casa Bianca di Trump & co.

Non è un caso isolato. Prima di Klansman c’era stato Get Out il “piccolo “ fanta-horror metaforico su ultracorpi razzisti che espropriano letteralmente giovani corpi neri, divenuto cause celèbre del 2017 portando il suo autore, Jordan Peele, all’Oscar della sceneggiatura. E quest’anno poi c’è stato Black Panther il Marvel espropriato esso stesso da Ryan Coogler , il giovane cineasta di Oakland (Fruitvale Station, Creed), che ha ribaltato il blockbuster in veicolo di rivalsa panafricanista, diventando fenomeno di incassi ma anche di catarsi nelle inner city americane.

Cineasti come Coogler e Peele (produttore quest’ultimo anche di BlackKklansman), sono l’avanguardia di una nuova generazione di registi afro americani: Barry Jenkins (Moonlight), Reynaldo Marcus Green (Monsters and Men), Ava DuVernay (Selma) Nate Parker (Birth of a Nation), Dee Rees (Mudbound), George Tillman (The Hate U Give) , Justin Simien (Dear White People) e altri che annunciano la rinascita di uno sguardo politico nero nel cinema. Allo scorso festival di Sundance, la violenza di polizia sui giovani neri era al centro di almeno tre pellicole: Monsters And Men, ispirato all’uccisione di Eric Garner da parte della polizia di New York, Sorry To Bother You e Blindspotting. Questi ultimi due provenienti da Oakland, la stessa città di Ryan Coogler.

La gemella afro americana di San Francisco, sull’altra sponda della famosa baia, sta infatti diventando un centro vitale di cultura e cinema nero. La capitale black della West Coast è di fatto divenuta rifugio per artisti e musicisti rifugiati dalla Bay Area sempre più high-tech e inabbordabile, un ultima spiaggia di creatività nella gentrificazione imposta dalla economia e cultura iper libersita di Silicon Valley. La location fa anche da sfondo a Sorry To Bother You il pamphlet grottesco contro neocapitalismo e gig economy del rapper Boots Riley, in cui un giovane disoccupato nero trova illusorio successo vendendo l’anima ad una azienda di telemarketing il cui business model finisce per rammentare quello delle piantagioni sudiste. Ambientato nella stessa città è anche Blindspotting, scritto da due giovani cresciuti nel ghetto di Oakland che in un certo senso è la vera protagonista del film: una città in profonda transizione socio economica in cui vengono coinvolti due amici (gli stessi autori), uno nero in libertà vigilata, l’altro bianco ma cresciuto nello stesso quartiere proletario insidiato dai nuovi ricchi. Un altro film su identità, antagonismo e convivenza multietnica sullo sfondo di un neoliberismo onnivoro.

Spiega Diggs: “La città è stretta fra l’università di Berkeley, c’è Mills College, vi sono nate le Pantere Nere…C’è uno spirito rivoluzionario autoctono tessuto nella fibra della città. È rumorosa, piena di colori, musica esuberante…perfino il modo con cui balliamo l’Hip Hop è diverso, sincopato. E ora queste cose sono minacciate da una gentrificazione che rischia di stravolgerne il carattere. Tutto questo entra nei film.”

Ed entrano anche negli altri film in cui si ravvisano i contorni di una resistenza all’ondata di odio, fomentata dalla retorica di regime che tracima dalle bacheche social e produce episodi di intemperanza quotidiana documentati da quello che è ormai un nuovo genere: il video di insulti razzisti. Nella Casa Bianca di Trump gli afro americani riconoscono una nuova versione della “big house” come veniva chiamata sulle piantagioni la candida casa padronale con le colonne doriche. Molti dei film della nuova onda black fungono da dispositivo per contrapporre l’immaginario multietnico alla marea identitaria e suprematista, il sovranismo dei bianchi e la farneticante eugenetica che il trumpismo tenta fuori tempo massimo di imporre nuovamente sulla melting pot e sulla inevitabile evoluzione della diversità culturale e razziale.

Come ha detto lucidamente Spike Lee a Cannes : “Il nostro mestiere di film maker ci impone di ricollegare il nostro presente al passato. Ciò che sta accadendo oggi non è uscito dal nulla. Occorre ricollegarlo a ciò che avvenne negli anni 70 e molto prima ancora . È il momento di andare a lezione di storia.” Lee non è il solo a ravvisare oggi una nuova sinistra attualità nel retaggio di violenze americane, Un vitale fenomeno artistico che, come fu già all’epoca dell’ultimo grande movimento dei diritti civili, si contrappone alla linfa intima e velenosa d’America che nuovamente sgorgata minaccia, con la stessa lucida follia che vediamo in Europa, di portarla alla catastrofe. Il nuovo cinema nero è la voce di un nuovo movimento che, dopo prima presidenza nera e la feroce reazione a cui si assiste oggi, si pone in prima linea contro le dilaganti tensioni razziste e xenofobe pilotate ad arte dal regime trumpista.