La maggior parte delle utopie le hanno inventate gli uomini, ma nel 1405 Christine de Pizan ebbe una visione: una città fortificata, popolata da regine, guerriere, poetesse, indovine, scienziate, martiri, sante. Con l’aiuto di copisti e miniaturisti nella bottega che dirigeva, Christine costruì pagina dopo pagina La Città delle Dame, arricchendola di splendide illustrazioni. Fosse vissuta oggi, forse avrebbe inciso un album e poi avrebbe pensato a come portarlo in tour come ha fatto Bjork con la sua visione utopica. Utopia è un’isola che galleggia sulle nubi, un Eden senza mele e serpenti, dove magari c’è un dinosauro che a volte dimena la coda e combina disastri, per questo bisogna impegnarsi a ricostruire, vivendo eticamente per realizzare ciascuno il suo lieto fine: che si tratti di creare una società ecosostenibile o superare la crisi devastante innestata dalla fine di un amore, tutto è un atto di volontà. Questo Bjork l’ha imparato sulla sua pelle.

Per la scenografia dell’Utopia Tour si è ispirata alle immagini che coloravano la sua infanzia e alle magiche notti dell’estate islandese, illuminate a giorno. Insieme a costumisti, set designer, fotografi, stilisti, truccatori ha creato «una trance oppiacea in un giardino utopico dove la natura e la tecnologia convivono armoniosamente». Il nostro futuro possibile è un connubio di urbano e biologico, con una lieve predominanza della natura.

Dopo un rinvio dovuto al maltempo nel mese di giugno, il 30 luglio l’Utopia Tour ha fatto tappa a Roma nell’ambito del Just Music Festival. Al crepuscolo il palco di piccole dimensioni (niente a che vedere con i gigantismi di Roger Waters), allestito davanti allo scenario austero e imponente delle Terme di Caracalla, si presenta come un giardino tropicale popolato dal canto di uccelli esotici. Due enormi ninfee dorate ai lati, un altro grande fiore dai petali rossi e carnosi pronti a schiudersi e in mezzo un’aiuola verdeggiante come un trono girevole, al cui centro campeggia un fiore vulvare.

La formazione schierata da Bjork è altrettanto singolare: sei flauti traversi (le Viibra sarebbero sette, ma lunedì sera una ha dato forfait per motivi di salute), di cui due flauti bassi, l’arpista Katie Buckley, Manu Delago alle percussioni e Bergur Þórisson all’elettronica e tastiere. Non c’è fisicamente, ma la sua presenza aleggia ovunque, Alejandro Ghersi, in arte Arca, il produttore e musicista venezuelano con cui Bjork condivide il cammino artistico negli ultimi anni. Al centro, vestita di un sontuoso abito Gucci con ricami di paillettes e un’enorme orchidea sul petto, lei, Butterfly scintillante alla testa di una piccola tribù matriarcale immersa nella luce dell’amore, dell’amicizia e operosità.

Nonostante la presenza cruciale di percussioni ed elettronica, il cuore della formazione sono le Viibra: il flauto, strumento etereo, è flusso, respiro e vento che purifica l’aria; a volte dallo schermo magicamente soffia anche sul pubblico che assiste a un masque tecnologico con luci e visual spettacolari, un ciclo di vita, morte e rinascita. I testi delle canzoni lo dicono chiaramente, anche se la pronuncia inglese di Bjork è notoriamente incomprensibile. Per questo qualcuno suggerisce che – come all’opera – ci sarebbe bisogno di far scorrere i testi, o di conoscere a memoria le liriche come i fan più hardcore. A questo proposito, Bjork può vantare il pubblico più trasversale che un artista possa desiderare: dalla comunità LGBTQI, alle famiglie con bambini alla sorprendente terza età.

Dal vivo scorrono quasi tutte le canzoni di Utopia in ordine leggermente diverso rispetto all’album, intervallate da sei brani tratti dai dischi precedenti: Isobel da Post, Human Behaviour e Anchor Song da Debut, The Pleasure is all mine da Medùlla, nel bis Wanderlust da Volta. Sotto al palco i fan adoranti approfittano di ogni lieve accelerazione dei beat per saltare, vorrebbero ballare, spingono per un’esplosione techno liberatoria in questa notte di caldo soverchiante, ma Bjork sceglie una chiusura mistica: Notget da Vulnicura a cui è affidato il mantra finale. «Love will keep all of us safe from death», «l’amore ci proteggerà tutti dalla morte» è il messaggio con cui saluta il pubblico, dopo innumerevoli «Grazzi, Rrrrrroma!».