Birds in the trap di Emanuele Belotti (Bordeaux, 2021, euro 8) è un’agile libretto in cui convergono una serie di spunti di analisi della scena trap italiana.

Belotti ha il merito di spostare il dibattito sulla trap music da un sottobosco fatto di saperi contraddittori, ad un piano più concettuale e riflessivo.

Sono tre le linee di ricerca che l’autore suggerisce. Una attiene alla messa in atto di una strategia auto-valorizzante dei soggetti marginali, che attraverso la trap costruiscono  la loro identità fuori dai quartieri di periferia, luoghi che storicamente hanno segnato le esistenze di chi vi abita.

La trap in Italia nasce principalmente nei quartieri inter-etnici, come l’hip hop delle origini e il rap francese degli anni ’90. Gran parte dei suoi interpreti sono immigrati di seconda o terza generazione, altrimenti relegati a posizioni non rispettabili poiché con risorse di dominio circoscritte. 

I problemi quotidiani che risultano da una collocazione sociale non di prestigio trovano nella musica il grimaldello per lasciarli alle spalle. Questo processo di affermazione individuale, al di fuori dalla scuola e dal lavoro largamente inteso, ha origine da una comune volontà di uscire dall’invisibilità, che non è solo fisica ma è anche sociale.

La seconda e la terza trama riflessiva evocano il tentativo di interpretare il funzionamento dell’industria musicale, e le nuove forme di soggettività underclass che emergono in relazione agli spazi digitali e alle etichette.

La cooperazione tra artisti ed etichette convive con le politiche di capitalizzazione delle major. In questo processo di interdipendenza si vuole sottolineare come la cultura partecipativa tipica delle crew musicali, e del capitalismo delle piattaforme, sia all’insegna di nuovi equilibri discografici. Il mercato della musica trap è regolato dai social, dalle visualizzazioni su YouTube e da altri canali d’accesso e visibilità di cui gli artisti godono. Il movimento che porta dall’auto-imprenditorialità alla professionalizzazione, fino alla grande distribuzione, è la leva della crescita del potere economico delle grandi etichette e del successo artistico dei musicisti. Ciò è cruciale per il rilancio di un mercato fino a qualche anno fa in sofferenza, e rappresenta la principale linfa per l’accumulazione capitalista.

I caratteri della trap, rispetto al rap da cui deriva, sono mutati parallelamente alle trasformazioni che hanno interessato il rapporto capitale-lavoro e le periferie delle città italiane. La diffusa commercializzazione è il segno visibile del suo enorme sviluppo, con i trapper che influenzano e orientano trasversalmente i gusti degli adolescenti, particolarizzando gli estetismi di una vasta area sociale e condizionando i loro modi di fare e di comunicare. Questi condizionamenti sono da indagare a fondo per una conoscenza più appropriata di una cultura che non è solo musicale. Approfondire questi aspetti a partire dalla cornice concettuale indicataci da Belotti, può essere un punto di inizio.