Nel 1892 Jacques-Émile Blanche realizza un ritratto di Marcel Proust in cui risalta l’espressione imbambolata dello scrittore poco più che ventenne, contraddistinta da alcuni particolari che si imprimono stabilmente nella memoria come l’arco filiforme delle sopracciglia che, cupe come il volo zigzagante delle chauves-souris descritto dall’amico Montesquiou in una sua raccolta poetica, arrivano a lambirsi alla radice del naso o i baffetti appena pronunciati, altrettanto neri, che, come quelli di un adolescente, incorniciano labbra carnose, muliebri. L’ovale del volto denuncia tratti puerili, accentuati da un impalpabile rossore che si dirama su gote quasi paffute, imberbi, confutando mediante quella sfumatura rosa un’investitura virile affidata al bianco e nero, concentrata in una fissità di sguardo che preannuncia gli esiti temporaleschi dell’incipiente misantropia o di una sublimata nevrosi. È la famosa immagine in cui spicca all’occhiello un fiore bianco che rinvia al bianco dello sparato e della cravatta, a lungo creduto una camelia, tollerata da chi soffre d’asma perché inodore, ma da Giovanni Macchia convertita in orchidea, definita «il fiore della Recherche» (ma anche, in barba al politically correct, «il fiore dell’invertito solitario»).
La riproduzione di quest’olio ora campeggia in quarta di copertina di Il corrispondente misterioso e altre novelle inedite (pp. 176, € 20,00) che Garzanti manda in libreria, a cura di Luc Fraisse e con ottima traduzione di Margherita Botto, nella rinata collana dei Libri della spiga che poco ha a che fare, anche graficamente, con la gloriosa serie in cui vennero pubblicate le opere di Gadda o le Confessioni di Sant’Agostino, sorta di piccola «Pléiade» italiana da accomunare idealmente a «Meridiani» e «Classici» Bompiani.
Si tratta di nove novelle inedite – o, più precisamente, abbozzi di novelle – che nulla apportano sul piano dei risultati raggiunti con l’opera maggiore, un Proust avant Proust, come si intitola un saggio di Bernard de Fallois, che si configura quale laboratorio della stessa, un po’ sulla falsariga di Les Plaisirs et les jours, raccolta di schizzi narrativi e pastiches pubblicata nel 1896 che, al pari del ritratto di Blanche, svela tutta la propria sconcertante acerbità. Precisò Gracq in Lettrines: «Solo con gli anni può andare tutto a posto: è come se Proust lo avesse saputo e, nell’attesa, si fosse esercitato con delle scale musicali». Ritrovate da Fallois, cui si deve anche il reperimento di altri manoscritti, fra cui quello del Jean Santeuil, romanzo incompiuto edito nel 1952 con prefazione di André Maurois, dove sono ravvisabili, con ben altra pregnanza stilistica, parecchi temi che confluiranno nella Recherche, queste novelle costituiscono una sorta di appendice a Les Plaisirs et les jours, in virtù sia della data di composizione, riconducibile a una generica fin-de-siècle, sia degli argomenti trattati. Luc Fraisse avverte nella sua introduzione: «Al pari di Proust detrattore di Sainte-Beuve, e (paradosso che qui non va disconosciuto!) al pari in realtà di Sainte-Beuve stesso, Bernard de Fallois sa che dalla lettura delle opere non deve essere assente la biografia dell’autore – ma una biografia interiore, quella che i migliori contemporanei di Proust chiamavano biografia psicologica, se si è capaci di scorgere nell’apparente gratuità delle circostanze vissute l’arricchente prospettiva di strutture nascenti».
Questi testi, nonostante la loro frammentarietà, affrontavano troppo scopertamente il tema dell’omosessualità per essere divulgati all’epoca e confluire nei Plaisirs et les jours. In tal senso l’atteggiamento circospetto di Proust si pone in aperta contrapposizione rispetto a quello di Gide, «suo coetaneo, edonista ed egotista, che non avvolge tale confessione nella tragicità proustiana ma la associa invece a una felicità vitalistica». Ma, su tutto, domina un senso nevrotico di incompiutezza, avallato dalla dovizia filologica con cui sono riportate le innumerevoli varianti in una sezione finale di note. Forse solo la novella che dà il titolo alla raccolta, Il corrispondente misterioso, costituisce un lavoro più calibrato e risolto, in virtù di una vicenda che dichiara le proprie ascendenze letterarie, tra cui La lettera rubata di Poe, e che traspone l’omosessualità maschile sul piano di una passione saffica dichiarata solo in punto di morte, come osserva Fraisse: «Novella in forma di enigma, la fabula si colloca nell’atmosfera del romanzo mondano per mettere in scena l’omosessualità, qui attraverso Gomorra».
Questo tema è presente anche nel frammento intitolato Ricordo di un capitano, in cui si descrive l’attrazione provata dal narratore, tenente «nella cittadina di L.», per un brigadiere di guardia che, «in quel luogo tutto caldo e biondo di luce serale», indugia un attimo più del dovuto nel salutare militarmente il graduato in borghese che si trova all’interno di un phaeton (tale episodio è forse da mettere in relazione con il servizio militare di Proust, compiuto dal novembre 1889 al novembre 1890 a Orléans). In La consapevolezza di amarla si rovesciano i meccanismi del Corvo di Poe con il suo patetico refrain legato all’espressione nervermore per descrivere una curiosa vicenda in cui un «gatto-scoiattolo» segue ovunque il protagonista, rendendo «la mia felicità (…) tanto più profonda perché segreta». Un veloce riferimento alle «melodie di Fauré» non può che rimandare alla sonata di Vinteuil, a proposito della quale Proust così scrisse all’amico Antoine Bibesco nel 1915: «La “piccola frase” è una frase della Sonata per piano e violino di Saint-Saëns che ti canterò (trema!). I sovrastanti tremoli sono di un Preludio di Wagner, gli alti e bassi lamentosi dell’inizio sono della Sonata di Franck, i movimenti spaziati della Ballata di Fauré, e via dicendo». In Il dono delle fate si prefigura l’episodio del terzo capitolo di Dalla parte di Swann, in cui il protagonista bambino si arrovella intorno alle condizioni atmosferiche, impaziente di incontrarsi agli Champs-Élysées con Gilberte, «dove giocherai con una bambina che amerai e che ti picchierà, e nei giorni di sole in cui vi vedrete resterai triste trovandola meno bella che nelle ore del mattino quando da solo nella tua stanza attendevi il momento di vederla».
Interessante il saggio finale dello stesso Fraisse, in cui si evidenziano come possibili fonti della Recherche l’opera del sociologo Gabriel Tarde, con la sua nozione di «imitazione» forse appresa da Proust all’École libre des Sciences politiques in un corso frequentato contestualmente a quelli di giurisprudenza, e quella del filosofo Joseph Baruzi che, con La volonté de métamorphose, edita da Grasset nel 1909 e nel 1911, cercò di conciliare volontà schopenhaueriana e individualità. In tale trattato si legge che «questo senso confuso e intermittente (…) forse coincide con la misteriosa volontà di creazione», richiamando alla memoria il concetto di intermittenza, nonché quello di «memoria involontaria». Il famoso incipit di Dalla parte di Swann («A lungo mi sono coricato di buon’ora…») è rievocato in una serie di varianti che testimoniano il lavoro di approfondimento compiuto per gradi, per successive approssimazioni, nel tentativo di imprimere una forma definitiva a una materia impalpabile, sfuggente, declinata in un continuo alternarsi tra operazioni contrapposte atte a «porre» o «levare».
E, a tal proposito, si ricorda la pubblicazione per Gallimard di Les Soixante-quinze feuillets et autres manuscrits inédits, curati da Nathalie Mauriac Dyer, che viene degnamente a suggellare il secolo e mezzo che ci separa dalla nascita di Proust. Bernard de Fallois aveva già parlato nel 1954, presentando Contre Sainte-Beuve, di questi foglietti, «di formato molto grande, comprendente sei episodi, che saranno tutti ripresi nella Recherche: sono la descrizione di Venezia, il soggiorno a Balbec, l’incontro con le fanciulle, il bacio della buonanotte di Combray, la poesia dei nomi e i due versanti». Solo dopo la scomparsa dello studioso, avvenuta nel 2018, questo materiale composito ha rivisto la luce dopo un cinquantennio di vane ricerche. Approntati nel 1908, tali schizzi, ancor più del Corrispondente misterioso, sembrano delineare quella «crypte proustienne primitive» che, come osserva acutamente Jean-Yves Tadié nella prefazione, rivela le fondamenta di «una chiesetta merovingia o romanica sotto la cattedrale gotica».