Terzo giorno al prestigioso festival del cinema di Cannes. In fila. Ennesimanente. Finalmente per vedere un’opera prima, gli esordi nel lungometraggio di registi esordienti come sono stata io qualche anno fa (Pesaro mi ricorda ancora…). La tierra y la sombra del ventottenne regista colombiano César Acevedo.

Le impressioni generali che registro sono positive riguardo all’estrema professionalità del personale (traduzioni all’impronta delle dichiarazioni emotive dei registi che presentano il film in sala, il conto sistematico delle persone che entrano, la pulizia delle sale e dei bagni…), meno positive riguardo alle interminabili attese per film che non è detto si riusciranno a vedere nonostante l’ora e mezza prima che si preventiva di attendere.

Sorprende e diverte l’elevato grado di eleganza generale del pubblico come se, adeguandosi alla moda più in voga, il colore più chic, il glitter sulla scollatura, si possa davvero contraddire il detto «l’abito non fa il monaco» e trasformarsi tutti in delle star da Oscar.
Con l’accredito della Quinzaine passi dall’entrata di emergenza, sei l’ultima ruota del carro e giochi alla roulette russa ad ogni giro… A Venezia, neppure durante gli anni dell’università, con il basico accredito studentesco, non mi era mai capitato di non entrare al cinema. La legge del più forte qui esiste e vince su tutto. Bingo.
Miracolo: sono entrata. Vediamo.

Il regista presenta il film emozionatissimo, dice che l’ha fatto per superare un trauma personale e, in effetti, vederlo è un’esperienza durissima. Una storia familiare, una piccola casa in mezzo ai campi di canna da zucchero che stanno bruciando. Il padre di famiglia, Gerardo, sta male, qualcosa ai polmoni, deve stare in una stanza buia, finestre serrate per non fare entrare polvere e cenere. Arriva da lontano il nonno, Don Alfonso, ad aiutare in casa. Le donne, la madre e la moglie, vanno a lavorare nei campi al posto del figlio-marito, per guadagnare qualcosa. Il pater familias peggiora mentre il piccolo Manuel instaura un bel rapporto col nonno sconosciuto. Nonna Alicia è la memoria, il passato, la tradizione, è stanziale, non lascerà la sua casa, resterà sempre: è la terra e l’ombra. Un lieto fine è impossibile. Il dramma si compie senza risparmiare nessuno, la morte vince, non esiste speranza. Audio di fuoco che brucia, vento e canto di uccelli. Mai nessuna musica, intransigenza stilistica assoluta, campi lunghi, qualche lentissimo avvicinamento di macchina, silenzio e stasi assoluti. Al limite del sostenibile. Bello.

(Dettaglio di costume: i ragazzi della Semaine de la Critique devono essere sponsorizzati da Petit Bateau, indossano tutti meravigliosamente francesi magliette bianche con le righe blu: adorabili).

Fabianasargentini@alice.it