Nel silenzio delle montagne anche un sussurro può diventare l’eco di una storia mitologica. All’antico mito ladino del popolo dei Fanes, nella tradizione orale maneggiata con cura (ma anche con un pizzico di fantasia) da Karl Felix Wolff che la trascrisse intorno agli anni ’30 del XX secolo, s’ispira la 9a Biennale Gherdëina – The Parliament of Marmots, «Il Parlamento delle Marmotte» (fino al 1° settembre). Un titolo che rimanda ad un luogo reale, l’omonimo anfiteatro naturale fatto di gradoni di roccia nel Parco delle Dolomiti di Fanes-Sennes-Braies (Patrimonio mondiale UNESCO), caratterizzato però da un altrettanto grandioso potenziale immaginifico.

Quanto al festival d’arte contemporanea che è stato fondato da Doris Ghetta nel 2008 (organizzato dall’associazione Zënza Sëida presieduta da Eduard Demetz), rinnovando una tradizione consolidata negli anni ha intercettato diversi luoghi della Val Gardena – da Vallelunga (Selva di Val Gardena) a Castel Gardena, da Ortisei a Pontives – con un avamposto al Museion di Bolzano – creando un collegamento intrigante tra esseri umani, animali, piante, paesaggi, tradizioni, folklore, lingue (nella valle si parla il ladino) e leggende sotto la curatela ineccepibile di Lorenzo Giusti con Marta Papini come curatore associato. Ad accomunare la ricerca di oltre 37 artiste e artisti internazionali (provenienti in gran parte dal Nord Africa e dal Medio Oriente) e locali – Talar Aghbashian, Atelier dell’Errore, Alex Ayed, Nassim Azarzar, Ismaïl Bahri, Yesmine Ben Khelil, Ruth Beraha, Chiara Bersani, Alessandro Biggio, Julius von Bismarck, Nadim Choufi, Elmas Deniz, Esraa Elfeky, Andro Eradze, Marianne Fahmy, Valentina Furian, Daniele Genadry, Eva Giolo, Shuruq Harb, Arnold Holzknecht, Michael Höpfner, Ingela Ihrman, Nadia Kaabi-Linke, Katia Kameli, Laurent Le Deunff, Linda Jasmin Mayer, Femmy Otten, Sara Ouhaddou, Eva Papamargariti, Diana Policarpo, Janis Rafa, Lin May Saeed, Helle Siljeholm, Tobias Tavella, Markus Vallazza con Martino Gamper e Karin Welponer – «l’esperienza concreta del bosco, del cammino, dell’isolamento, della montagna, della materia, del corpo, della connessione con le diverse specie animali e dell’empatia con il mondo naturale», come aveva preannunciato Giusti sin dalla fase iniziale del suo progetto curatoriale.

Lin May Saeed, Cleaner (2006) – Sala Trenker, Ortisei; foto di Manuela De Leonardis

In questo mondo parallelo in cui l’arte veicola pulsioni emotive, storie, vissuti e inconscio, gli animali hanno un ruolo primario (come del resto nelle favole e nelle leggende antiche e moderne che accomunano l’umanità intera), ecco allora risuonare le loro storie nel cavallo addomesticato «gentilmente» della video installazione Centauro di Valentina Furian o magari nel bostrico, il coleottero che insidia le piante indebolite dell’abete rosso danneggiandole non meno dell’azione della xylella sugli ulivi dell’Italia del Sud. Nel monumento equestre Beatle On A Horse di Julius von Bismarck, collocato nel centro a Ortisei (la scultura è di legno di pino cembro scurito con la combustione) è il bostrico ad assumere le sembianze del cavaliere medievale sul suo destriero, eppure per le leggi della natura anche questo insetto xilofago soccombe ai colpi del becco del picchio che ne estrae le larve dalla corteccia del tronco.
All’abete, tra l’altro, è dedicata la performance The Wandering Spruce dell’artista svedese Ingela Ihrman che nelle giornate inaugurali della biennale ha indossato i panni di una pigna lanciando i suoi semi/disegni in un gesto/azione di pacificazione con l’ambiente.

Tra plancton che nell’opera di Diana Policarpo rimandano alle Anguane, creature mitologiche ladine legate all’acqua (le Dolomiti, si sa, milioni e milioni d’anni fa sono emerse dal mare) e farfalle che nei disegni di Esraa Elfeky nascono dall’ibridazione e dalla metamorfosi di reali specie in via d’estinzione che l’artista e regista egiziana ha documentato nella regione del Sinai e sulle Alpi svizzere, c’è spazio anche per le voci degli uccelli che nell’installazione sonora Il cielo è dei violenti di Ruth Beraha popolano quella realtà distopica suscitando un crescendo d’inquietudine. Estinzione, apocalisse, catastrofe (vedi anche il cimitero rocaille di Laurent Le Deunff con le teste del coccodrillo, della lumaca e del gufo delle nevi) ma anche la foresta fiabesca gioiosamente animata dalle creature ibride dell’Atelier dell’Errore che animano il regno dei «marmottoloidi». L’icona dell’identità grafica della Biennale Gherdëina 9 (disegnata da xxystudio di Milano) è stata realizzata da questo straordinario collettivo di undici artiste e artisti neurodivergenti (il loro studio è ospitato nella sede della Collezione Maramotti a Reggio Emilia) che hanno una sola regola: lavorare esclusivamente sul tema degli animali. Tra le opere commissionate dalla biennale c’è anche la scultura di legno Schwarzweiß/Bianconero di Arnold Holzknecht dove due lupi si annusano – uno nero e uno bianco – esprimendo un concetto immediato ma non scontato: l’importanza della conoscenza, del dialogo, dello scambio.

Nella struttura ricordano gli antichi giocattoli di legno, una tradizione locale sin dalla fine del XVIII secolo: Holzknecht offre all’opera d’arte una nuova opportunità invitando adulti e bambini a salirvi sopra mentre passeggiano lungo il sentiero di Val d’Anna. Un’incursione nel regno animale anche nei disegni visionari che Markus Vallazza (1936-2019) realizzò per illustrare il libro Le donne di Fanis (1992) della scrittrice Anita Pichler, allestiti dal designer altoatesino Martino Gamper nella storica Osteria Traube di Ortisei dove l’artista trascorreva le serate con gli amici durante il suo periodo in Val Gardena. Ancora un tributo, infine, dedicato a Lin May Saeed (1973-2023) con la retrospettiva nelle due sedi della Sala Trenker a Ortisei e alla GAMeC di Bergamo in cui sono esposte opere a partire dal 2006.

Notevoli le sculture in polistirolo dipinto che rappresentano l’espressione della sua intera ricerca dedicata alle relazioni tra animali e umani, riscoprendo e studiando insieme agli animali primordiali anche l’epopea di Gilgamesh e le leggende mesopotamiche. Nelle sei favole pubblicate insieme ai disegni (Fables, 2024) il linguaggio dell’artista tedesca di origine irachena oscilla tra dissertazione, catalogazione, denuncia, ipotesi, nessi. «Possono passare secoli prima che un animale enunci la frase: Per favore, non uccidermi!, in un’estensione quasi infinita delle sillabe. Come se qualcuno scrivesse il suo nome sulla superficie della luna». – scrive Lin May Saeed in Il silenzio degli animali – «A seconda della specie, questo può richiedere centinaia di migliaia di anni».