Sono tempi interessanti, seppure minacciosi, quelli che ci troviamo a vivere, un’epoca imprendibile, di incerta natura, che intreccia i destini dell’umanità al di là delle frontiere nazionali.
Secondo Ralph Rugoff, curatore della 58/a Biennale d’arte di Venezia dal titolo May You Live in Interesting Times, gli artisti invitati – sono settantanove – con le loro opere avranno il compito di inseguire le interconnessioni «fra diversi ordini» (non essendocene uno sovrano su tutti). E più saranno affini, per capacità speculative, ai due numi tutelari – Leonardo da Vinci e Vladimir Ilic Lenin – più avranno colto nel segno.

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La Mostra internazionale, che aprirà al pubblico l’11 maggio e sarà visitabile fino al 24 novembre (rinforzata da ventuno eventi collaterali), è stata presentata come una «enorme conversazione» che condurrà i visitatori, ma interattivamente anche gli artisti stessi, a esplorare il mondo con nuove energie. Nella convinzione, dice Rugoff, che una nuova felicità sia ancora possibile (un concetto dal gusto new age). E, da parte sua, il presidente Paolo Baratta ricorda il ventennale della riforma della Biennale, esprimendo anche la sua fiducia nel futuro, corroborata dalla giovane età dei visitatori e visitatrici dell’esposizione in Laguna. Più della metà di loro sfodera un’età sotto i 26 anni. È un dato di speranza, che invita a collaudare l’anticonformismo del pensiero, che non significa un’incursione politica tout court nella società ma uno sconfinamento nell’immaginario e nelle sue incarnazioni critiche.

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COSÌ, FRA GLI ARTISTI che occuperanno le Corderie, intere sezioni dell’Arsenale e il Padiglione Centrale ai Giardini riscopriamo molte conoscenze al femminile di vecchia data, gran parte delle quali possono essere classificate come «detonatrici dell’ordine costituito». Si va dalla francese Dominique Gonzalez Foerster, creatrice della visione dell’«exoturisme», alla fotografa palestinese Rula Halawani fino alle architetture che contengono orrori quotidiani della coreana Lee Bul. Ci saranno poi anche la sudafricana Muholi Zanele, che da anni affronta il tema della sessualità e del genere e la messicana Teresa Margolles con il suo sguardo implacabile steso fra vita e morte, dovuto alle riflessioni solitarie a côté della sua attività di patologa forense. Due, infine, le artiste italiane scelte da Rugoff, in linea con la sua idea di slittamento del senso comune insito in ogni opera e installazione: Ludovica Carbotta, invitata per un progetto specifico a Forte Marghera nell’edificio detto Polveriera austriaca e Lara Favaretto.

A QUESTO IMPEGNO intellettivo che si posa sul mondo, rispondono i sempre contestati padiglioni nazionali – c’è chi da anni invoca la loro abolizione in nome dell’economia e della cultura globale – con quattro new entry come Algeria, Ghana, Madagascar, Pakistan, mentre la Repubblica Dominicana e quella del Kazakistan avranno un proprio padiglione. L’Italia è affidata a Milovan Farronato che ha scelto Enrico David e Liliana Moro (entrambi già sbarcati in Laguna anni fa) e anche di tributare un omaggio alla artista prematuramente scomparsa Chiara Fumai, un’altra «sovversiva» e fuori sistema. E se paesi come Antigua e Barbuda ripartono da feste del «rovesciamento» del potere – Find yourself: Carnival as Resistance – altri, leggi la Siria, provano a far sapere al mondo intero che la loro Civilization is still alive: così orgogliosamente titolano la mostra nazionale.
La ribelle Grenada rispolvera la sua Epic Memory, il Montenegro rimanda a una sua privata Odissea, il Perù chiama a raccolta gli Indios Antropófagos, la Russia apre il Vangelo secondo Luca con Alexander Sokurov, mentre la Danimarca guarda alla condizione umana sviscerata dalla palestinese Larissa Sansour. Per gli Stati uniti, la parola è libertà (Liberty): suona paradossale ai tempi di Trump, ma forse l’african-american Martin Puryear saprà declinarla nella giusta direzione.