Già prima dell’inizio del G7 in Cornovaglia, era chiara la strategia del presidente Usa Joe Biden: creare un’alleanza tra democrazie per affrontare le sfide poste dalla Cina.

Biden lo aveva scritto nero su bianco in un commento pubblicato sul Washington Post alla vigilia della partenza del suo tour in Europa, in cui ha menzionato la Cina quattro volte, sottolineando la necessità di promuovere un’alleanza democratica per rispondere alle minacce degli avversari. Seppur non citato esplicitamente, il presidente Usa si rivolge all’omologo Xi Jinping, ritenuto il responsabile della deriva autoritaria cinese. Biden, nel suo incontro con i leader delle superpotenze economiche, a cui si sono aggiunti quelli del Sudafrica, Corea del Sud e India (in video), sperava di ottenere un consenso unanime per inviare un messaggio forte alla Cina contro le pratiche antidemocratiche, in particolare per l’erosione della democrazia a Hong Kong e il trattamento della minoranza uigura costretta ai lavori forzati nello Xinjiang. Ma nel secondo giorno del meeting diplomatico è emersa la riluttanza europea di fronte a uno strappo così netto con Pechino.

Durante un incontro a porte chiuse durato 90 minuti, sono risultate evidenti le divergenze di opinioni su quali azioni adottare nei confronti della Cina che, dai leader dell’Ue, è comunque considerata un «rivale sistemico». Il primo ministro britannico Boris Johnson, così come il premier canadese Justin Trudeau e il presidente francese Emmanuel Macron hanno sposato l’intenzione del presidente Usa Joe Biden di adottare azioni più dure contro Pechino; tuttavia, però, si sono scontrati con la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e altri leader dell’Unione europea, che invece vorrebbero porre l’accento sulle aree di cooperazione con la Cina, come la crisi climatica.

Proprio in vista della Cop26 in programma a Glasgow il prossimo novembre, i membri del G7 preferiscono muoversi con cautela e riflettere quindi anche sui dettagli da inserire nel comunicato che sarà rilasciato alla fine del vertice. Nominare esplicitamente la Cina, come vorrebbe il rivale regionale giapponese Yoshihide Suga, in merito anche alle incursioni nelle acque e nei cieli taiwanesi da parte dell’esercito cinese, potrebbe determinare una risposta dura da parte del Partito comunista cinese, che ha recentemente approvato la prima legge contro le sanzioni straniere. Un cambio di passo, quindi, anche rispetto allo scorso meeting di maggio dei ministri degli Esteri dei paesi del G7, quando si era espressa la necessità di garantire a una delegazione indipendente l’accesso nello Xinjiang per valutare la condizione umanitaria degli uiguri.

Nell’incontro di maggio, i responsabili della politica estera dei setti paesi si erano detti anche preoccupati per il mancato rispetto delle norme sul commercio e sugli investimenti. Biden vuole infatti lanciare un progetto infrastrutturale globale, alternativo alla Belt and Road initiative lanciata nel 2013 dal presidente Xi. Il piano (Build Back Better World), che ancora non ha ricevuto l’avallo dei membri del G7, prevede la raccolta di centinaia di miliardi in denaro pubblico e privato per aiutare a colmare un divario infrastrutturale di 40 mila miliardi di dollari nei paesi bisognosi entro il 2035.

Dentro la Muraglia e nelle ambasciate cinesi, però, osservano con attenzione i movimenti del vertice del G7, definito sui media statali un gruppo ormai privo di influenza, in quanto gli interessi politici ed economici si sono spostati verso oriente, con la Cina che definisce l’agenda internazionale.