L’attentato a Palmiro Togliatti settanta anni fa, cadde nel bel mezzo del Tour de France. Il ciclismo nella prima metà del Novecento era lo sport più seguito a livello popolare, più del calcio. Anche pochi anni prima, nel bel mezzo della Resistenza, partigiani e fascisti quando potevano tendevano l’orecchio alla radio per farsi rapire dalle radiocronache del Giro e del Tour. Nel luglio del ’48, quando lo studente Antonio Pallante sparò quattro colpi a Togliatti in via Missione, stradina che costeggiava Montecitorio, furono immediate le reazioni popolari a Torino, Genova, Roma, Napoli, Taranto, Livorno, La Spezia. Si temeva il peggio, tanto che Togliatti invitò i dirigenti del Pci a non perdere la testa. Nello stato di tensione palpabile, arrivò la notizia della vittoria di tappa di Gino Bartali al Tour che aveva accumulato un ritardo notevole rispetto al primo in classifica, e proprio con quella vittoria cominciò la risalita che lo portò di lì a una decina di giorni a vincere la maglia gialla. La leggenda vuole che Bartali avesse ricevuto una telefonata di Alcide De Gasperi, allora presidente del Consiglio e segretario della Democrazia Cristiana, nella quale lo si invitava a darci sotto per vincere e salvare il paese dalla guerra civile, in realtà il campione toscano smentì più volte che vi fosse stata quella telefonata. È indubbio che pochi mesi dopo la sconfitta del Fronte Popolare costituito dal Pci e dal Psi, nelle elezioni del 1948, vi fu un’abile operazione del Vaticano su Gino Bartali, che associò pubblicamente l’immagine del campione delle due ruote all’Azione Cattolica. Il campione fu oggetto di una venerazione quasi religiosa, il mondo cattolico creò intorno a Bartali il mito del «magnifico ciclista cristiano» come lo definisce lo storico Stefano Pivato nel libro Sia lodato Bartali ( Castelvecchi). A questa abile operazione Democrazia Cristiana- Vaticano, il Pci rispose eleggendo Fausto Coppi a beniamino delle masse popolari, al Bartali democristiano e cattolico, i partiti della sinistra contrapposero il comunista Fausto Coppi.
Nel dopoguerra, la popolarità e la rivalità tra i due campioni fu alimentata anche da questa contrapposizione politico-sportiva. Il pedale entrò di prepotenza nel clima della guerra fredda, alla pedalata cattolica seguiva quella comunista. Nelle cronache ciclistiche riportate dai quotidiani di sinistra, non mancava mai il riferimento alla contrapposizione Bartali-Coppi in chiave Vaticano- Pci, basta leggere quanto riportava Vasco Pratolini, che seguiva il Giro d’Italia per il Nuovo Corriere, un quotidiano di Firenze vicino al Pci, diretto Romano Bilenchi: « Oggi, come a Roma, Gino I è caduto nella tagliola. La folla lo premeva da ogni lato; emergevano sulle teste i moschetti dei gendarmi disperatamente impegnati a proteggere il campione; due giovani frati francescani facevano leva delle mie spalle e di quelle di un collega per vederlo un attimo da vicino. Coppi invece era riuscito a dileguarsi, tre uomini lo andavano cercando qua e là, framezzo alla marea, smarriti ma dignitosi con un fascio di garofani rossi infiocchettato. Erano i rappresentanti del P.C.I. di Foggia, che a nome dei compagni volevano rendere omaggio a Fausto che ha fama di simpatizzante.» Il corsivo e Coppi chiamato per nome, la dicono lunga sul tentativo frettoloso di fare del campione piemontese uno dei «nostri», anche se, come sembra, in occasione delle elezioni di aprile di quell’anno, Coppi avesse firmato insieme ad altri ciclisti un appello per il voto alla Democrazia Cristiana. A seguire anche altri ciclisti furono annoverati nelle file dei compagni, a cominciare da quelli che gareggiavano per la Wiler-Trieste, ritenuta una squadra con ciclisti di sinistra. Attilio Camoriano seguiva la cronaca del Giro per il quotidiano del Pci l’Unità, mentre gli faceva da spalla per i pezzi di colore il poeta Alfonso Gatto, che proprio da Fausto Coppi aveva ricevuto alcune lezioni per imparare ad andare in bici, come aveva rivelato sulle colonne del giornale comunista, ma i tentativi del campione andarono a vuoto. Gatto era un coppiano di ferro, mal sopportava il democristiano Bartali. Quando al Giro del ’48 Coppi sembrava aver ceduto il passo, l’attenzione di Gatto si spostò su Vito Ortelli da Faenza, che avendo conquistato per alcune tappe la maglia rosa, sembrava dovesse tenerla fino a Milano, ma così non fu perché sul Pordoi bucò una ruota e fu attaccato senza remore dal gruppo degli inseguitori, rinunciando alle sue velleità in maglia rosa. Le simpatie dei tifosi comunisti, secondo le cronache del duo Camoriano-Gatto, si spostarono tutte sui professionisti Sergio Pagliazzi «anzi, il compagno Sergio Pagliazzi» si corregge il poeta Gatto, che correva nell’Atala con «il compagno Ortelli di Faenza» e a seguire altri ciclisti di sinistra come Martini, Cecchi, Volpi e Bresci, tutti simpatizzanti del Pci, secondo la cronaca de l’Unità del 18 maggio 1948, un mese dopo le elezioni politiche che decretarono la sconfitta delle forze di sinistra riunite nel Fronte Popolare e sancirono l’affermazione della Democrazia Cristiana.