E’ stato appena pubblicato, e presentato in anteprima al convegno bibliotecario nazionale Stelline 2016 tenutosi a Milano gli scorsi 17 e 18 marzo, il volume di John Palfrey BiblioTech (Editrice Bibliografica, € 29,50) dall’eloquente sottotitolo: perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di Google. In realtà Palfrey non è un bibliotecario, ma un laureato e poi docente di diritto ad Harvard che “casualmente” viene incaricato della riorganizzazione della Biblioteca dell’Università (come lui stesso racconta tutti credevano che fosse stato chiamato un “esterno” per seppellirla) e collabora alla costituzione della Biblioteca Pubblica Digitale Americana (http://dp.la). Nonostante la diversa formazione, Palfrey prende a cuore le sorti della biblioteca come istituzione e inizia a difenderne la funzione ed a promuoverne finanziamento e tutela. Anche BiblioTech non è un libro dedicato ai professionisti, ma una riflessione proposta a tutti e soprattutto a chi delle biblioteche pubbliche regge le sorti finanziarie.

Si tratta di un libro allo stesso tempo ottimista e pessimista. Ottimista perché difende il ruolo della biblioteca pubblica come “istituto della democrazia”(come recitava già il titolo di un classico della biblioteconomia italiana scritto da Virginia Carini Dainotti negli anni ’60 del 900). I cittadini tendono a pensare che ormai il ruolo della biblioteca sia terminato perché tutta l’informazione è presente su Internet con a disposizione Google per cercare ciò che serve loro. Tuttavia Palfrey ricorda che Google, Amazon, e in genere tutti i servizi basati su Internet che usiamo più o meno gratuitamente siano strumenti proprietari, che lucrano utilizzando i dati che generiamo navigando, effettuando ricerche, leggendo, comprando, giocando, guardando video o ascoltando musica. Le biblioteche al contrario non solo garantiscono un accesso all’informazione tendenzialmente a tutti, ma si occupano anche di proporre un servizio per informarsi meglio e su fonti affidabili. La possibilità dell’informazione è alla base stessa del sistema democratico che prevede che chiunque possa essere chiamato ad esprimere il proprio parere su questioni di rilevanza nazionale e quindi possa trovare luoghi dove formarsi un giudizio al di là di interessi di parte.Garanzia che la biblioteca pubblica fornisce e che di fatto non può farlo un servizio come Google appunto per la sua natura di ditta privata. Il problema, sottolinea Palfrey, non è allora di diritto, ma piuttosto di risorse. Le risorse che una ditta come Google può mettere in campo in termini di ricerca e sviluppo superano qualsiasi anche più rosea prospettiva di finanziamento di tutto il complesso delle biblioteche pubbliche. Dal punto di vista economico, e conseguentemente di capacità di produrre servizi appetibili, soprattutto se percepiti come in qualche modo concorrenziali, le biblioteche non hanno nessuna possibilità non si dice di prevalere, ma neppure di competere e rischiano seriamente di venire chiuse da amministratori che in anni di scarsità preferiscono finanziare altro, tanto gli utenti delle biblioteche hanno già Google a disposizione.

Cosa allora è possibile fare? Per Palfrey i bibliotecari si devono trasformare in hacker. Non gli hacker della vulgata corrente, i pirati informatici che forzano sistemi e ne rubano i dati, ma gli eroi della rivoluzione informatica descritti nel libro di Steven Levy (Hackers, ShaKe) citato in BiblioTech. Declinato in chiave biblioteconomica significa: professionisti della formazione all’informazione che ottimizzano e condividono le risorse collegando tra loro le varie istituzioni in reti di collaborazione sempre più vaste, digitalizzando i documenti in proprio possesso e creando piattaforme a cui il pubblico possa accedere. Soprattutto i decisori politici, conclude il suo libro/arringa Palfrey, devono avere estremamente chiaro che “il destino delle repubbliche libere, aperte e bene informate potrebbe dipendere dal futuro delle biblioteche”.