«E’ sbagliato dire, anche da parte del Pd, “quello di Draghi è il nostro governo», “quello è il nostro programma. Perchè quello di Draghi è un governo del presidente della repubblica, udi emergenza, una garanzia repubblicana che dunque non è di nessun partito». Goffredo Bettini rimette i guantoni nel dibattito interno al PD. E proprio nel giorno in cui Enrico Letta ripete ancora una volta che «il Pd è il partito più draghiano dell’intero schieramento politico», Bettini dalla festa del Fatto quotidiano riapre una faglia che, dopo le dimissioni choc di Zingaretti, sembrava essersi momentaneamente richiusa.

«Questo è un governo dove coesistono posizioione i diverse su tutto, dal lavoro, all’Europa alla lotta al Covid», insiste Bettini, «ogni giorno si deve battagliare per i nostri contenuti». Ma ecco la domanda che in tanti si pongono a sinistra: «Quanto può durare questa situazione? Se pensiamo di farlo arrivare fino a fine legislatura (come Letta ha detto più volte, ndr) rischiamo di logorare questa risorsa repubblicana, che io vorrei conservare, anche rispetto al Quirinale», dice Bettini. «Draghi ha dimostrato di funzionare come cuscinetto tra i partiti e per la reputazione dell’Italia. Ma questa autorevolezza la può esprimere anche con altre funzioni. Perché accanto alla figura di garanzia abbiamo bisogno che riprenda la dialettica democratica». E cioè destra contro l’asse Pd-M5S-sinistra. E questo asse, insiste, «è l’unica possibilità per poter competere con la destra».

Bettini, da consumato attore politico, evita qualsiasi attacco al suo segretario. Anzi, dice che è un uomo colto e corretto», che «non deve essere sottovalutato» e che ha «un vero spirito di amicizia verso Conte». E tuttavia le differenze di linea su temi cruciali come la durata del governo e il prossimo inquilino del Colle sono evidenti. Così come sul posizionamento del Pd su cui, dice, «intendo dare battaglia perché si arrivi a un chiarimento». Su cosa? «Una volta c’erano il Pci e il Psi. Ma oggi la sinistra dove sta? È scomparsa».

Pier Luigi Bersani, presente ieri allo stesso incontro, condivide l’idea «con il campo con tra Pd e M5S possiamo vincere. Altrimenti è meglio che ci riposiamo». L’ex leader Pd e ora fondatore di Articolo 1 è preoccupato: «Siamo in un ritardo bestiale, e invece serve un offerta politica nuova, una novità che risvegli tanti delusi di sinistra». Bersani assicura che andrà alle agorà lanciate da Letta: «Ma non siano solo l’occasione per dare un po’ d’aria al Pd, bisogna dire chiaro dove si vuole andare». Bene allora far discutere i cittadini «dal basso» ma «l’alto», e cioè i leader delle forze di centrosinistra, «chi ha un po’ di esperienza», «devono buttare giù un programma fondamentale, almeno un sussidiario, all’altezza del salto tecnologico che stiamo vivendo, un cambio secolare che modifica lo scenario». «Qui non basta occuparsi del software, va ripensato l’hardware della sinistra, e cioè una piattaforma nuova sul lavoro. E tra sinistra e M5S ci possono sì essere differenze, ma non sulle proposte fondamentali da fare al paese».

«Per ora abbiamo un potenziale, ma non c’è l’offerta politica che dia l’idea di un colpo di reni», avverte Bersani. «Abbiamo pochi mesi per farlo, la situazione non è così stabile, e la destra inizia a pensare che allungando il brodo potrebbe avere dei guai, e le verrà la voglia di anticipare (le urne, ndr) mentre noi non siamo pronti». «Forza Conte!», esorta Bersani, «la scelta di campo mi pare delineata, ora però bisogna darsi una mossa». Elly Schlein, arruolata da Letta tra i saggi delle agorà, manda un segnale: «Il Pd è ancora pieno di contraddizioni, deve ancora scegliere se essere quello che ha fatto il Jobs Act, o quello che vuole sconfiggere il precariato e lo sfruttamento del lavoro».