Bettini si fa la corrente: «Dopo l’89 siamo stati succubi del liberismo»
Sinistra dem Maratona per presentare il manifesto «Le Agorà», critiche alla «dittatura del mercato» e al governo Draghi: «Troppo elitario»
Sinistra dem Maratona per presentare il manifesto «Le Agorà», critiche alla «dittatura del mercato» e al governo Draghi: «Troppo elitario»
Ricostruire un pensiero di sinistra, dopo «oltre trent’anni di errori», iniziati dalle conseguenze della svolta di Occhetto del 1989. Goffredo Bettini lancia con una lunghissima maratona oratoria di quasi sei ore la sua area politica «Le Agorà». Che, giura lui, «non sarà una corrente intesa come ricerca di posti». Ma una sorta di germoglio di un nuovo pensiero di sinistra, «dentro e fuori il Pd».
DURANTE LA MARATONA (cui hanno partecipato -tra gli altri- Gianni Cuperlo, Andrea Orlando, Enrico Rossi, Massimo Brutti, Elly Schlein, Mario Tronti, Roberto Speranza, Massimiliano Smeriglio, Dario Franceschini) sono echeggiati citazioni di Marx e di Gramsci, acuti contro la «dittatura del mercato», una dura autocritica su 30 anni di «sottomissione all’egemonia del pensiero liberista con il risultato che ci siamo persi il popolo», spiega Bettini nelle conclusioni, ansioso di «riproporre un punto di vista critico, anche se sarà considerato eretico».
UN PENSIERO CRITICO sulla globalizzazione, sul potere, sul mercato. «Dopo la cauta del muro non abbiamo saputo innalzare nuove bandiere», spiega. «Ci siamo lasciati imprigionare da falsi miti come la meritocrazia, le privatizzazioni, i tagli al welfare, il nostro riformismo è stato il contrario della solidarietà e del riscatto dei più deboli». «Siamo diventati il nemico di tutti quelli che avevano paura della globalizzazione», gli fa eco Andrea Orlando. «Abbiamo perso i più poveri, i giovani, i lavoratori manuali, ci siamo immedesimati con l’establishment».
E ORA? «COME I NEOREALISTI dobbiamo tornare nelle strade e scoprire l’Italia vera», l’appello di Bettini. «Saremo misurati sulla nostra capacità di ingaggiare questa lotta alle disuguaglianze», ragiona il ministro del Lavoro. «Bisogna risolvere il tema dell’identità del Pd». Così anche Cuperlo: «Va rifondato, dopo le scissioni e gli addii dei segretari abbiamo solo puntellato l’edificio, che però è gravemente lesionato: ora basta mettere la polvere sotto il tappeto».
BETTINI GIURA LEALTÀ A LETTA, «lui è intelligente e colto, vuole un partito inclusivo e la sinistra deve esserci, non possiamo lasciare solo Papa Francesco nella critica al capitalismo». Ma è chiaro che le distanze sono significative. Non tanto sulle alleanze («Adesso che Conte è caduto e Zingaretti si è dimesso nessuno nel Pd protesta più per l’accordo coi 5 stelle», ironizza Bettini), ma sul profilo di partito, sui ceti sociali da rappresentare.
«Non possiamo diventare la parte rassicurante e moderata del campo progressista, il partito dei competenti e degli informati», attacca Claudio Mancini, che tocca uno dei punti di maggiore distanza da Letta: il rapporto con Draghi. «Smaltita l’euforia le difficoltà del governo del “tutti dentro “sono evidenti. Questo è un governo di natura eccezionale, dobbiamo essere pronti al voto». Brutti rincara: «C’è un unanimismo insopportabile verso un governo che come primo atto ha fatto un condono fiscale, e con Giorgetti è indifferente verso chi perde il lavoro».
Smeriglio: «C’è un rischio di elitarismo in questo esecutivo». Bettini lo definisce «un governo del presidente, dobbiamo aiutarlo nella sua missione, ma c’è una riduzione della sovranità democratica. e bisogna tornare presto un paese normale».
IL LEADER DELLA NUOVA corrente, ora con le mani libere dopo l’addio del suo figlio politico Zingaretti, torna sulle frasi del suo manifesto sulla caduta di Conte attribuita ad una «convergenza di interessi nazionali e internazionali» (che avevano irritato molti nel Pd). «Chi ci accusa di gridare al complotto fa una parodia», replica Bettini. «Abbiamo fatto un’analisi politico-sociologica, quasi un’ovvietà: c’erano degli interessi perché la campagna martellante contro Conte è stata sproporzionata rispetto agli errori. Al di là di Renzi, c’è stato qualcosa di più grande che si è mosso». «Io lo so, ma non sta a me portare le prove», chiude con una citazione di Pasolini.
Precisa Orlando: «In quel governo c’era il tentativo di includere una forza populista, e di non nascondere la cattiva coscienza delle classi dirigenti interessate a celare le loro responsabilità per la crescita delle diseguaglianze. Èlite che pensano che il populismo sia spuntato come un fungo all’improvviso…».
Ora sul manifesto delle Agorà partirà una raccolta firme, che è anche un modo per contare le truppe. «Non saremo una corrente piramidale, ma neppure un’associazione culturale», dice Mancini. Speranza rilancia: «Trovare un terreno comune, immaginare nuove forme di organizzazione politica della sinistra». È il famoso “big bang” agognato da Bersani, con la scomposizione del Pd. Ma i tempi ancora non sembrano ancora maturi.
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