Circa millesettecento anni prima che Freud pubblicasse L’interpretazione dei sogni, Artemidoro di Daldi scriveva i cinque libri di Onirocritica: anche l’uomo antico, smarrito di fronte alle visioni oniriche, aveva bisogno di un ausilio. Opportunamente scortato dai due maggiori sistematori e interpreti dei sogni, Maurizio Bettini si avventura in questo Viaggio nella terra dei sogni (il Mulino «Grandi illustrati», con oltre duecento illustrazioni, pp. 472, € 50,00), e alle numerose e dotte esplorazioni del mondo antico aggiunge un lavoro che in qualche modo tutte le convoca e ridisegna. A cominciare da Alle porte dei sogni (Sellerio 2009), che poneva al centro il passo omerico sulla necessità di distinguere tra i sogni veridici che escono dalla porta di corno da quelli menzogneri, che escono dalla porta d’avorio, argomento cruciale e presentato anche in questo testo.
Materia fascinosa ed elusiva quanto altre mai, il sogno postula una ricezione attenta e una rielaborazione che ne porti alla luce un significato che restituisca al sognatore un equilibrio che il sogno immancabilmente ha messo in crisi. Come scrive Hillman ne Il sogno e il mondo infero, il sogno esige di essere tradotto nella lingua della veglia: ha infatti un linguaggio tutto suo che viene accolto come un pronunciamento interlocutorio ed esige una risposta o comunque una qualche forma di ‘continuazione’ da parte della coscienza; come il rovescio del tappeto, è fatto degli stessi fili della realtà diurna, ma è progenie della Notte.
L’atteggiamento con cui Bettini, classicista, antropologo e scrittore, si inoltra in questo universo è quello di un dichiarato e pacato razionalismo che gli consente di rilevare il sistema di relazioni culturali interessanti sotto il profilo sociale. Le spiegazioni dei sogni offrono materiali preziosi all’indagine culturale: il censimento effettuato prende avvio dal mondo greco-latino e si spinge fino alla contemporaneità, in 44 capitoli che trattano i molteplici aspetti del sogno, dei sognatori, degli interpreti, dei significati possibili e degli oggetti che vi sono rappresentati. Testi, pitture vascolari, affreschi, monete, incisioni, quadri, sculture, ma anche film e fumetti: ovunque il sogno lascia tracce di sé.
Si ritiene comunemente che il mondo del sogno sia di pertinenza della sola dimensione notturna, ma le testimonianze evidenziano quanto sia prossima la parentela con i diavoli (incubi e succubi), con il panico e il delirio, con i fantasmi, con la metamorfosi e la magia. Per gli antichi era chiaro che il sentiero che attraversa il mondo diurno proseguisse naturalmente in un territorio ben più vasto che comprendeva le divinità, i miti, le premonizioni, le allucinazioni. Dunque mappare il mondo onirico significa cartografare il complesso delle dimensioni umane, tanto a livello individuale quanto sociale.
Bettini, che è anche scaltrito narratore, si lascia talvolta irretire dalle storie e, come più volte accade al protagonista del suo romanzo In fondo al cuore, Eccellenza (Einaudi 2001), gli capita di divagare. In effetti colui che riferisce un sogno e colui che racconta una storia hanno paradossalmente il medesimo grado di attendibilità agli occhi del destinatario e rimettono volentieri all’ascoltatore/lettore il compito della custodia del materiale rappresentato e della sua possibile interpretazione. Si tratta in entrambi i casi di materiale che si rende docile alla manipolazione, al conseguimento di una forma, un lavoro che passa per il linguaggio. In Il sogno creatore María Zambrano metteva in stretta relazione il sognare con la parola: «qualunque contenuto del sognare potrebbe essere il seme di una creazione della parola… la parola accorre al risveglio, e il risveglio, sempre incerto, si verifica al suo interno, contenuto in quelle parole che, ancora enigmatiche, sono già di massima incertezza». E lo stesso Tabucchi, quando raccontava dell’immaginazione degli scrittori, non poteva che definire il proprio libro Sogni di sogni.
Tra i racconti spicca quello in cui l’autore riferisce un proprio sogno ricorrente ed enigmatico. Scelta audace visto che lo stesso Freud, nella prima introduzione all’Interpretazione dei sogni, dichiarava un netto imbarazzo a rivelare, con i propri sogni, i fatti intimi della sua vita psichica agli estranei. Il sogno di Bettini è ambientato in una piazza di Lisbona e il significato gli si rivela dopo molti anni e solo dopo che sua figlia proprio a Lisbona avrà scelto di andare a vivere. In quel caso la visione notturna mirava a strappare all’oblio un certo episodio. Il racconto inserisce l’io dell’autore tra le ‘fonti’ dichiarate e introduce il discorso sulla responsabilità del sognatore, responsabilità di cui tuttavia non viene altrimenti definita la portata. Anche la citazione da L’idiota insiste su questo aspetto: nelle trame del sogno sarebbe intrappolato un pensiero reale che, scrive Dostoevskij, «è sempre esistito nel vostro cuore. È come se nel sogno vi fosse stato rivelato qualcosa di nuovo, profetico e desiderato. L’impressione è forte … ma non riuscite in alcun modo a capirne o ricordarne la causa o il messaggio che ha trasmesso». Il lettore ricorderà che lo stesso Gilgamesh, dopo aver sognato di essere schiacciato da una meteora, fa ciò che farebbe qualsiasi uomo immaturo, benché potente: chiede aiuto alla madre che gli fornisce un’interpretazione. Dunque alle origini della civiltà e della letteratura c’è un eroe che si avvia alla trasformazione e alla maturazione riconoscendo la propria inadeguatezza a interpretare un sogno perturbante.
Il sogno ha a che fare con situazioni di mutamento e le Metamorfosi ovidiane costituiscono un repertorio irresistibile. Con Ovidio il legame tra i sogni e i miti diventa sistema e ciò garantisce ai protagonisti di sogni, visioni, allucinazioni la possibilità di collocare fenomeni inspiegabili all’interno di un contesto che permette una semantizzazione condivisa e dunque uno scioglimento, se non proprio una soluzione. Invece, in un’epoca che di fatto ha perduto la consuetudine con il mito, in un’epoca nella quale il monte Citerone – sul quale il piccolo Edipo fu abbandonato per scongiurare l’avverarsi dell’oracolo – diventa il monte ‘Citterio’ (Bettini riferisce di un lapsus in cui è incorso un suo studente), questo scioglimento si fa assai più difficile e l’individuo si trova esposto pericolosamente alle ‘incognite’ della sorte.
Ma che il mito e il sogno costituiscano ancora oggi un affidabile sistema di riferimento lo testimonia, tra gli altri, l’esempio di Morfeo. Il personaggio prende corpo per la prima volta proprio nel testo ovidiano: è il dio del sonno, del travestimento e dei simulacra. Oltre a persistere nella popolarissima Smorfia, Morfeo ricompare negli anni a noi più vicini in contesti quanto mai lontani dal mondo del classicismo. È dunque una bella sorpresa seguire Bettini che, sulle tracce del sogno e delle trasformazioni, si imbatte nei personaggi dei Cavalieri dello Zodiaco, il fortunato anime giapponese che oltre ai vari Pegasus, Ade, Artemis ecc., vede schierati i fratelli Oneiroi, sottoposti a Hypnos e guardiani dei sogni: Oneiros, Morpheus, Icelos e Phantasos. E non mancano riferimenti e illustrazioni che rimandano al Morpheus di Matrix. Esempi come questi sono sintomatici di quanto criptico si sia fatto il legame che lega l’individuo moderno al patrimonio classico, ma anche di quanto vitale quel patrimonio resti per chi sappia ancora intenderne il linguaggio, che per la sua plurivocità e la sua ricchezza è fino a oggi attivo generatore di storie e ben capace di alimentare l’immaginazione.
Il sogno dunque occupa una posizione centrale in un sistema costituito da elementi eterogenei, tutti inclusi in un’area che segna il limitare della coscienza. La terra perimetrata da Bettini coincide in sostanza con la terra dell’inquietudine, dei morti, dell’aldilà, e l’onirocritica non fa che tentare di ricondurre a ragione fenomeni che si presentano come incompatibili con le spiegazioni razionali e soggetti al dominio di Pan. Pindaro afferma addirittura che dell’uomo sopravvive unicamente l’eidolon della vita, che dorme quando le membra sono deste e si sveglia quando il corpo dorme. Lì avvertiamo che qualche porta si è irrimediabilmente chiusa. Il libro si conclude giudiziosamente con la ferrea argomentazione di Cicerone che nel De divinatione demolisce ogni ipotesi di fiducia nei confronti di sogni e premonizioni. E la sua decapitazione ne rappresenta la più brutale delle conferme.