Goffredo Bettini lancia la coalizione a tre punte, con Pd, M5S e una «terza gamba moderata e liberare» che il dirigente dem e consigliere di Nicola Zingaretti vorrebbe affidare a Matteo Renzi. O meglio: Bettini dalle colonne del Foglio propone a Renzi di fare il «federatore» di un’area «che conta nell’opinione pubblica il 10%», individuando «i leader più adatti a guidarla».
L’uscita scatena una rovente discussione dentro e fuori il Pd, con una buona fetta dei dem che lo accusa di «voler tornare a Ds e Margherita», al passato del centro-sinistra «col trattino». E così si consuma uno strappo pubblico -decisamente inusuale- con il discepolo Zingaretti: «Con franchezza devo dire che su questo punto con lui non la pensiamo allo stesso modo», dice il leader Pd. «Per me è il Pd la forza del riformismo italiano, incontro tra culture diverse per cambiare il Paese». «Goffredo è una persona libera, autonoma e generosa. C’è tra noi un ottimo rapporto e uno scambio continuo di idee», la premessa di Zingaretti prima di marcare la netta presa di distanza.

E del resto la proposta di Bettini non è solo una suggestione agostana. Ma parte da un’esigenza reale, quella di dare stabilità ad una coalizione nata in emergenza la scorsa estate. «Si deve aprire una nuova fase per il governo, questo equilibrio non regge per il domani», spiega Bettini. «Va pretesa una maggiore unità e una soggettività politica della maggioranza».
I possibili protagonisti di questa terza gamba non chiudono al lodo Bettini. Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva al Senato, dice sì: «Se il sistema elettorale sarà quello proporzionale, sarà naturale questa evoluzione: un polo moderato e riformista che riunisca tutti coloro che la pensano allo stesso modo e che sono collocati forzosamente e immotivatamente dentro forze politiche diverse e addirittura in coalizioni diverse». Anche Carlo Calenda approva il ragionamento, mentre l’ala destra del Pd, a partire dagli ex renziani, storce il naso. E teme una manovra per spingere alla porta gli ex Margherita. «Bettini guarda al passato e vuole rimettere in pista i Ds. Il Pd nato al Lingotto è un’altra cosa e resterà il riferimento principale dei riformisti e dei moderati». «Così si seppellisce la vocazione maggioritaria», attacca il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. «Vorrebbe dire che negli ultimi tredici anni, da Veltroni in poi, abbiamo scherzato. Se si chiedesse ai nostri elettori ed iscritti: “Volete tornare a Ds e Margherita?” secondo me sarebbero di più i no».

Stop anche da ex Ds come Matteo Orfini, Maurizio Martina e Gianni Cuperlo. «Lo schema che disegna Bettini è sicuramente una linea possibile. Ma è la negazione del progetto originario del Pd», dice Orfini. «Noi continuiamo a credere in un Pd aperto e animato da sensibilità e identità diverse. Il dibattito sul centro-sinistra con il trattino lo abbiamo superato anni fa. Nessuna nostalgia. Guardiamo avanti!», scrivono Martina e Cuperlo insieme a Luigi Zanda e Alessandro Alfieri. «Così si rischia di legittimare le ultime scissioni, che sono state dolorose e sbagliate», avverte l’ex ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli.
Una discussione, quella sul formato a tre punte della maggioranza, che poggia sul nodo delle mancate alleanze alle regionali di settembre. In Puglia addirittura Pd, M5S e Italia Viva hanno tre candidati diversi. Un errore «imperdonabile» secondo Bettini, mentre Zingaretti da pisa -dove è andato ieri per sostenere il candidato presidente Eugenio Giani- spinge sul voto utile: «Mi spiace che il dibattito tra i 5 stelle si sia esaurito nella testimonianza delle proprie idee. Chi vuole vincere sostiene i candidati delle alleanze che sostiene il Pd, noi siamo l’argine a Salvini».

Nella frattura tra Pd e M5S si inserisce Maria Elena Boschi: «Abbiamo fatto nascere questo governo perché non volevamo morire leghisti, adesso non è che vogliamo vivere grillini». «Noi siamo la terza via tra il sovranismo e l’asse Pd-M5s», spiega l’ex ministra. «Se si apre a un’alleanza strutturale tra Pd e grillini, per Italia Viva ci sono praterie».
Sulle regionali scontro sui pronostici tra Graziano Delrio e Matteo Salvini. «Vinceremo noi, 4 a 3. Abbiamo candidati molto forti in tutte le regioni», attacca il capogruppo Pd ospite del meeting di Rimini. E il leghista replica: «Si parte da un 5 a 2 per il centrosinistra. Se finisce in maniera opposta o se peggiora, il problema non è in casa nostra ma in casa del governo».