«Co-autore dell’omicidio di Berta Cáceres». Così ha sentenziato il tribunale honduregno su David Castillo. L’ex presidente dell’impresa Desa è stato considerato l’anello di congiunzione tra gli esecutori materiali dell’omicidio dell’attivista ambientalista e leader della comunità Lenca (avvenuto il 3 marzo 2016) e i mandanti. La lettura della sentenza contro l’ex militare e imprenditore honduregno (che rischia una condanna tra i 20 e i 35 anni di carcere) avverrà il 3 agosto. Ad affermarlo è la portavoce del tribunale, Lucía Villars.

IL PROCESSO a Roberto David Castillo era iniziato lo scorso 6 aprile per verificare le prove raccolte dai sostenitori di Berta Cáceres sul legame dell’ex dirigente Desa con i killer. Un processo importante non solo per definire il ruolo di Castillo, ma per aprire definitivamente la strada alla ricerca delle persone che mossero l’imputato e il commando ad agire.

«Presumibilmente Castillo avrebbe seguito sia l’organizzazione che la logistica dell’omicidio della Cáceres», ha spiegato Villars. Quindi Castillo non sarebbe mandante dell’omicidio ma uno dei soggetti attivi nella sua costruzione, il soggetto di collante tra il gruppo armato e chi voleva la fine della vita di Berta. Un passo avanti si, necessario ma non sufficiente.

Le tensioni tra il Consiglio civile delle Organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), l’organizzazione creata da Cáceres, con la Desa esplosero quando l’azienda decise di costruire un impattante impianto idroelettrico in terra indigena e per far questo ottenne, tramite pressioni politiche e corruzioni, l’appalto per poter lavorare ed edificare sulle acque del fiume Gualcarque, corso d’acqua considerato sacro dai locali popoli originari. Berta Cáceres vinse nel 2015 il Goldman International Prize, considerato il Premio Nobel per gli ambientalisti, proprio per la sua attività contro il progetto.

Nel dicembre 2019 erano arrivate le prime sette condanne, tra i 30 e i 34 anni, per il commando che entrò in casa di Berta uccidendola. Castillo è così l’ottavo condannato.

LA SENTENZA È STATA SALUTATA dal Copinh come «una vittoria dei popoli del mondo» e della «solidarietà e dei diritti umani». Secondo l’organizzazione indigena «le strutture di potere non sono riuscite a corrompere il sistema giudiziario almeno in questo caso». E aggiunge che «la struttura criminale della famiglia Átala Zablah, di cui il condannato è solo uno strumento, non è riuscita a raggiungere gli obiettivi preposti».

Per l’avvocato di Berta, Victor Fernandez, il punto a cui si è arrivati è merito della lotta per la verità e la giustizia che attorno al Copinh si è sviluppata in tutto il mondo, e per questo non bisogna dire grazie a nessuno ma continuare con ostinazione nella direzione intrapresa.

SECONDO IL COPIHN il processo finirà con una vittoria solo se alla sbarra finiranno anche i mandanti dell’omicidio di Berta, ovvero gli esponenti della famiglia Atala, proprietaria della Desa e tra le più facoltose e influenti del Paese. Le figlie di Berta ed il Copinh, ora, chiedono la cancellazione immediata del permesso di costruzione «sopra il corso sacro del fiume Gualcarque» e che a processo vadano anche tutte le persone che sono state coinvolte «nell’illegale e corruttiva concessione dei permessi».