La scissione «è già avvenuta nel nostro popolo», «Siamo il Pd o il Pdr, il Partito di Renzi? Ce lo abbiamo un canale per discutere? Ieri ho visto solo dita negli occhi». È uno sfogo quello di Bersani in Transatlantico nel primo pomeriggio. È preoccupato, arrabbiato. Lancia un nuovo ultimo appello, dopo quello di lunedì alla direzione del Pd. Oggetto: rimandare il congresso, accettare il «lodo Orlando» cioè organizzare una «conferenza programmatica» qualsiasi cosa significhi. E così evitare all’ultimo la scissione della minoranza. Che però è un ingranaggio già partito. A iniziare dai gruppi parlamentari. Il problema, giura, non è la data del congresso. Del resto dividersi su questo sarebbe incomprensibile anche a per la famosa «base». «Il calendario è una tecnica», dice, «Serve buon senso: da Renzi non me lo aspetto, da quelli vicino a lui sì». Si rivolge a Dario Franceschini, che da posizione defilata butta acqua sulle intemperanze del segretario. Ma soprattutto si rivolge al ministro della Giustizia, portatore di una proposta che lui definisce «assolutamente sensata» quella di «una riflessione più libera prima del congresso». In cambio non c’è già l’ok all’appoggio alla sua candidatura. Anche perché ridurre le tre candidature tre della minoranza a nessuna in favore di Orlando è una mission impossible.

D’altro canto quali chance avrebbe una eventuale corsa di Orlando, che lui non smentisce («È un problema che mi porrò soltanto quando inizieremo a discutere sulla proposta da fare al Paese») se il core business dell’ala ex ds abbandonasse il partito? Intanto però qualcosa si muove intorno a lui. Ieri alla camera aleggiava un documento dei giovani turchi in suo sostegno. L’ex tesoriere Misiani e la giovanissima ’turca’ Giuditta Pini si dichiarano favorevoli alla sua proposta. Oggi la corrente si riunirà.
A Bersani&Co del resto basta poco: che il congresso scivolasse un po’ più avanti, dall’8 aprile a metà maggio: per certificare l’impossibilità di un voto a giugno. Ne parla in Transatlantico anche con Gianni Cuperlo. Che alla fine si allontana con una faccia che non dice niente di buono. «Rompere sarebbe una sciagura. Ma ieri (e cioè lunedì alla direzione, ndr) mi ha colpito la disistima reciproca», dirà poi ai cronisti.

Ma la mediazione, dicono fonti della minoranza, non è neanche iniziata. In mattinata Orlando giura che la sua proposta non è stata avanzata in combutta con i bersaniani. «Non ero d’accordo con Renzi e glielo ho detto, che c’è di strano?». Prima di un passo c’è da valutarne le possibilità reali di successo. Innanzitutto con la parte renziana. Dove però verso la minoranza tira una brutta aria. «Sentire Bersani parlare di buon senso mentre minaccia scissioni dalla mattina alla sera è davvero pittoresco», twitta Roberto Giachetti.

E «bandire la parola scissione» è la prima condizione che Orlando pone ai bersaniani per andare avanti su questa strada. La seconda è smetterla con gli «attacchi quotidiani» al segretario.
Ma nella Ditta ormai in pochi credono alla possibilità di una ricomposizione. Alla direzione Renzi non ha volutamente colto il tono dialogante di Roberto Speranza né le mani tese da Bersani, Cuperlo e dallo stesso Orlando. Un messaggio chiaro: «La scissione è un ricatto ed io per natura tendo a non accettare i ricatti». Per il gruppetto di punta della minoranza la scissione è solo questione di giorni. In queste ore circola l’ipotesi di non partecipare all’assemblea di domenica, al più mandare un ambasciatore a leggere un comunicato. Un gesto che però potrebbe rivelarsi un boomerang.

Ieri si sono infittiti i contatti fra Speranza e Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra italiana prossimo a mollare la formazione vendoliana a capo di una pattuglia di parlamentari, sulla carta la metà del gruppo, che con i fuoriusciti dem potrebbe confluire in un nuovo gruppo ispirato al centrosinistra. La nuova cosa di D’Alema? Ma anche quella di Pisapia, che nel pomeriggio a Milano tiene un dibattito con Laura Boldrini e Massimiliano Smeriglio. E spiega che per ora non si parlerà di alchimie elettorali: «Iniziamo dal basso e da un programma credibile e fattibile».