Un discorso da vincitore quello di Bernie Sanders, non certo da sconfitto. Nell’annuncio di 21 minuti con cui riconosceva che Joe Biden sarà il candidato del partito democratico in novembre, Sanders non ha fatto nessuna concessione all’establishment del partito e, al contrario, ha rivendicato tutti i risultati ottenuti dalla sua battaglia negli ultimi cinque anni: la diffusione di idee come l’aumento del salario minimo orario a 15 dollari, l’impegno per combattere il riscaldamento globale e, soprattutto, quello per adottare un sistema di sanità pubblica universale, il Medicare for All.

«Questa orrenda pandemia di Coronavirus ha mostrato a tutti quanto sia assurdo un sistema basato sulle assicurazione sanitarie private legate al posto di lavoro» ha ripetuto Bernie «tanto più in un momento in cui l’economia americana sta affondando e milioni di nostri concittadini hanno perso il lavoro e quindi anche la possibilità di curarsi».
«Molti dei nostri familiari, dei nostri vicini, dei nostri amici colpiti da una crisi economica senza precedenti hanno difficoltà a pagare il mutuo della casa, l’affitto, o perfino a mettere un pasto in tavola. Il Congresso deve agire subito per proteggere i lavoratori» ha detto Sanders, implicitamente criticando il pacchetto di crediti e di sovvenzioni varato la settimana scorsa da Camera e Senato.

«La nostra campagna elettorale si ferma ma la nostra lotta per la giustizia va avanti» ha concluso Sanders, rivendicando di avere comunque vinto «la battaglia ideologica» all’interno del partito e quella generazionale, poiché la stragrande maggioranza dei giovani ha sostenuto lui e non Joe Biden nelle primarie dove si è votato. «Noi non siamo mai stati semplicemente un’organizzazione elettorale: eravamo e siamo un movimento di base multirazziale e multiculturale». Per questo il nome di Sanders resterà sulla scheda negli stati dove si deve ancora votare, perché altri delegati facciano sentire il loro peso alla convenzione democratica di Milwuakee, spostata ad agosto.

L’establishment democratico ha dunque prevalso nella scelta del candidato da opporre a Trump, grazie al sostegno dei grandi media (New York Times e Washington Post hanno pubblicato centinaia di articoli contro Sanders), grazie ai miliardari finanziatori del partito e, in parte, anche grazie alle divisioni del campo progressista, che presentava un altro candidato di peso: Elizabeth Warren, costretta a ritirarsi dopo il «supermartedì» in marzo.

Bernie ha però ragione nel rivendicare i risultati politici ottenuti fin qui, e nel continuare a proporre le sue soluzioni senza nulla concedere a Biden (con cui si è congratulato) sul piano dei contenuti. Il suo destino politico sembra tutt’altro che finito e dal suo movimento può nascere una leadership nuova, collettiva e radicale, di cui per ora la rappresentante più nota è la deputata Alexandria Ocasio Cortez ma che di certo esprimerà altri leader in futuro. Come sempre accade, l’incognita di fronte ai suoi sostenitori è se a novembre vorranno davvero votare per un candidato scialbo e lontano dalle loro idee come Joe Biden. Una piccola percentuale sicuramente non lo farà ma il grosso dell’elettorato democratico certamente andrà compatto alle urne, non fosse che per sconfiggere l’odiato Trump, un’impresa comunque complicata dal sistema elettorale americano, che potrebbe replicare il risultato del 2016: la vittoria di un candidato che raccoglie meno voti su scala nazionale.

Un problema più complesso è cosa accadrà sul fronte economico nei prossimi mesi, con le inevitabili ripercussioni sugli scenari politici. Una ripresa dell’economia in autunno, sia pure al prezzo di centinaia di migliaia di vite umane, non è impossibile e ad essa sono legate le speranze di rielezione del presidente uscente. È anche ipotizzabile, però, che il trauma che sta subendo l’economia americana sia soltanto all’inizio, che la situazione della disoccupazione si aggravi e che la crisi attuale sia lunga e prolungata quanto quella del 1929. In questo caso la vittoria dei democratici sarebbe non solo possibile ma probabile. Per il momento, tutto può accadere.