Bernard Berenson nella prefazione a Paesaggi inattesi nella pittura del Rinascimento (a cura di Hanna Kiel e Dario Neri, pubblicato nel 1952 da Electa) richiama opportunamente un suo scritto del 1916 ove, considerando l’attitudine di un ipotetico maestro veneziano del Rinascimento, argomentava: «La natura, come qualsiasi altra cosa del mondo visivo, lo interessava non tanto in sé stessa quanto per il particolare che essa gli forniva e che poteva tornargli utile nelle sue composizioni. Accingendosi a dipingere un paesaggio, egli non sentiva probabilmente il bisogno di andare a cercare sul posto il motivo da riprodurre – né certo la cosa gli sembrava indispensabile – ma lo componeva di preferenza di sua testa, servendosi dei particolari serbati nella sua memoria o nel taccuino degli schizzi. Questi particolari dovevano essere di per sé stessi esatti, e per di più dovevano rispondere alle proprie leggi oltre che a quelle dell’universo che ne determinano la formazione, la struttura e lo sviluppo. Ma giammai l’artista avrebbe pensato che un dato particolare, nella sua composizione, dovesse avere lo stesso rapporto con le cose circostanti, da lui notato nella natura».

Dunque il particolare è un fattore costitutivo della composizione e come tale va inteso. Il particolare, elemento autonomo dotato di una sua intrinseca coerenza, per sé stesso esatto, dispone la fattura dell’opera d’arte, ne articola le connessioni interne perché, concepito come settore concluso d’un insieme entro il quale la sua ‘esattezza’ trova riferimento, fornisce le condizioni di coerenza e unità della composizione ab initio.

Tornare al particolare, enuclearlo, vale isolare un tratto del procedimento costruttivo dell’opera e non, invece, un intervenire per sciogliere l’opera in una dimenticanza che ce la fa perdere.

Ma tuttavia, giacché evincere dall’insieme una componente strutturale significa restituire ad essa la sua intatta virtualità compositiva, ecco che il particolare, recuperato come tale, nella sua integrità, sospende l’inesorabile compiutezza che è propria del dipinto nel suo insieme. Una pausa, una sosta, un intervallo che presuntivamente revoca la avvenuta finitezza dell’opera in grazia d’una legge retroattiva applicata secondo la norma medesima del suo procedimento compositivo.

Se l’opera, ed è quanto avviene, a giudizio di Berenson, in forma paradigmatica per la pittura veneta del Rinascimento, è costituita dal particolare, allorquando esso venga restituito alla sua autonomia, stagliato nella sua integrità, disvela una regola compositiva e consente al critico di ipotizzare un procedere realizzativo virtuale, un comporre che si può fingere diverso da quello trascelto, intrapreso e condotto a termine, a suo tempo, dall’autore.

Siamo così posti, di fronte al particolare, nella condizione di apprezzare le articolazioni per mezzo delle quali l’autore ha connesso l’intero; e, al contempo, possiamo meglio svelare, di quell’articolato connettere, l’intenzione, valutarne criticamente la liceità ora che i nessi intrinseci al particolare, le sue potenzialità compositive diremmo, sono come emancipati dalle connessioni applicate una volta, a suo tempo, dall’autore.

Il dipinto recede dalla sua compiutezza, si attenuano i valori storico-stilistici e si offre quale contesto inconcluso, suscettibile di interazioni inesperite, di compimenti ulteriori. Il risultato, l’esito di un dipinto non è acquisto irrevocabile, ma azzardo conoscitivo e critico permanente. Nel canone sta il repentaglio non la fissità, non il tipo. Facciamo del compiuto un compiersi che è compito nostro svolgere giacché ne possediamo, padroni del particolare, la regola operativa, realizzatrice.

Come ben si intende, questi presupposti, che sono interni a una teoria della figurazione nelle arti della rappresentazione visiva, illustrata nei termini chiariti da Berenson, definiscono concettualmente il particolare d’arte e, pur senza farne una categoria rigida, comportano più di una conseguenza.

Assunto nella sua peculiare accezione rispetto a una gnoseologia dell’opera d’arte, Berenson affida infatti allo studio del particolare un eminente ed imprescindibile compito critico.