Era il suo gran giorno, l’ora del ritorno nell’aula dalla quale era stato cacciato. Con tutti gli onori e applausi scroscianti. Stavolta Silvio il Senatore, appena diventato nonno per la diciassettesima volta, è stato ben attento a non farsi rovinare e soprattutto a non rovinarsi la festa da solo come nel giorno infausto del voto su La Russa. Pura coincidenza il fatto che il nuovo pargolo sia venuto al mondo proprio nel vero giorno del rientro, ma di quelle significative perché se non proprio come un nonno, sia pure in ottima forma, Berlusconi ha parlato ieri, per la prima volta, col tono del patriarca e del fondatore, non del capo.

La rivendicazione del suo ruolo è piena e orgogliosa. Se oggi al governo c’è una esponente che viene dalla storia della destra italiana «è perché 28 anni fa è nata una coalizione di destra e centro». La sua coalizione, la sua creatura, «quella a cui ho dato vita, che ha scritto pagine fondamentali realizzando una democrazia compiuta, una democrazia europea dell’alternanza». Padre della moderna destra, padre della patria, padre anche del governo a cui il suo partito voterà la fiducia con lealtà e convinzione e che non potrà che muoversi nel solco da lui tracciato.

Come al solito il sovrano d’Arcore non pecca di falsa modestia, non minimizza i propri meriti, ma non ha tutti i torti e, quel che per Giorgia più conta, non si scosta di un millimetro dal quadro programmatico da lei delineato. Ne assume anzi la primogenitura e poco male se calca un po’ la mano sui suoi eterni cavalli di battaglia: giustizia, la cui riforma è «una priorità irrinunciabile», e fisco, anzi, per essere precisi «pace fiscale».

La nota dolente, il passaggio temuto, si chiama Ucraina e Berlusconi passa la prova con lo stile abituale: come se quelle parole sullo scambio dolcissimo con Putin e sulle responsabilità di Zelensky le avesse pronunciate un sosia. «Sono sempre stato uomo di pace e siamo sempre stati dalla parte dell’occidente e della libertà, a sostegno della Nato e dell’Ucraina. Nessuno può metterlo in dubbio». Certo, l’uomo di Pratica di Mare non dimentica il capolavoro fatto nel 2002, del resto si sa che la politica estera lo ha sempre sinceramente appassionato. Allora si trattava di legare la Russia all’occidente per fronteggiare la minaccia vera, quella cinese. Ora però con l’aggressione contro l’Ucraina Putin ha distrutto la tela tessuta allora, è tornato a isolarsi dall’occidente. Peccato.

Meloni tira un sospirone ma il sollievo dura poco perché dopo Berlusconi tocca al leghista Romeo che picchia duro. Per un po’ resta sulla posizione adottata alla Camera, in linea con la premier però forzando i toni, in particolare con una carica a testa bassa contro i maledetti ecologisti che con i loro no hanno bloccato tutto. Una posizione condivisa dall’intera coalizione, ribadita anche dalla premier e da Berlusconi, ma con toni meno da crociata. Sul Covid chiede di eliminare le multe comminate ai non vaccinati. Sull’autonomia regionale calca la mano.

Arrivati al nodo ucraino però Romeo scarta davvero, soprattutto rispetto all’approccio molto radicale appena adottato dalla presidente nella sua replica: «La collocazione atlantica non è in discussione. Ma cercate di impostare anche un discorso sui negoziati di pace. Si fa fatica a sentire che decideranno gli ucraini. Meglio dire che deciderà la comunità internazionale». Preso l’abbrivio Romeo conclude minaccioso: «Auguri alla sua squadra, che non è di destra ma di centrodestra e ci teniamo a sottolinearlo. E si ricordi che la durata di un governo è direttamente proporzionale alla sua capacità di fare squadra».

Dai banchi del governo la premier è visibilmente seccata. Si rivolge a Salvini come per chiedere spiegazioni ma la spiegazione è ovvia. Per lei, per la premier di un governo di coalizione con alleati che non possono certo gradire il suo primato netto, gli esami non finiranno mai. Alle già notevoli difficoltà esterne si sommeranno sempre quelle interne alla sua maggioranza. Ma con un’opposizione più che mai lacerata e una maggioranza costretta a restare unita e tutto sommato coesa sia per quanto riguarda l’orizzonte di fondo che le scelte concrete, per il momento non ha nulla da temere.