Dopo essersi fatto vendere da Renzi, con l’attiva complicità di Verdini, il Colosseo (una truffa degna di Totò), Berlusconi si accinge ora ad acquistare dalla medesima coppietta anche la basilica di San Pietro. Ieri tre notizie hanno galvanizzato il tradito, rimpiazzato con un sorrisone il suo cipiglio, parzialmente disteso i rapporti con quel Verdini che appena due giorni fa era destinato alla defenestrazione e, soprattutto, riaperto le porte all’intesa col fedifrago di palazzo Chigi.

Il primo «gesto rassicurante» è lo sconto di pena di 45 giorni: un atto dovuto o giù di lì. Viene concesso praticamente sempre. Il secondo evento, quello che maggiormente ha allietato l’ex onnipotente e che strappa a Daniela Santanché un gridolino, «Magnifico!», è la telefonata del neopresidente al condannatissimo per invitarlo, oggi stesso, all’esordio quirinalizio. Quello, in realtà, non era affatto un atto dovuto, pur essendo il pregiudicato a tutti gli effetti leader di partito. Ma ci mancava solo che, con le riforme a rischio e il necessario puntello azzurro al governo traballante, il neopresidente evitasse un atto che in fondo costa pochissimo. La terza «ottima notizia» è la conferma o quasi, da parte della ministra Boschi, che il salva-Silvio ci sarà. Quella, in effetti, è moneta sonante. Ma non serve a pagare Berlusconi bensì tutti gli industriali che sostengono il governo, si aspettano quella misura e prenderebbero malissimo il vederla cancellata solo perché c’è di mezzo l’Innominabile.

Ancora una volta quel che Renzi offre in cambio della conferma del patto del Nazareno è fumo. Ancora una volta, il gioco gli riuscirà. Il tradito è contentone. Con Verdini sono ripresi i contatti. Il chiarimento faccia a faccia potrebbe essere fissato già stamattina. Lui, Verdini, fa il possibile per rabbonire il capo. Si dichiara «berlusconiano». Giura di aver votato come Silvio comandava, cioè scheda bianca, e se nessuno gli crede poco male. E comunque, senza perdersi in comunicati, fa circolare un commento significativo: «Ma Berlusconi dov’era quando io trattavo?», e vagli a dar toro. Sarà perdonato, anche se d’ora in poi probabilmente non tratterà più da solo o in coppia con Letta ma verrà «commissariato» da Toti.

Il risorto ottimismo facilita anche il recupero dei rapporti con Fitto, altro reprobo che pareva destinato alla cacciata. Invece Toti gli lancia un messaggio fiorito: «Trasformi l’opposizione in gestione. Facciamo un patto generazionale dei quarantenni». Brunetta s’imbufalisce: «Sì, e pure dei sessantenni e dei settantenni, con Berlusconi dentro». E’ il settantenne in questione a dettare all’incauto la correzione: «Ops! Volevo dire quarantenni di spirito». Fitto non replica. Non ce n’è bisogno. A uscire dal partito non ci pensa per niente e se le fantasie di espulsione sono svanite meglio per tutti.

E le riforme? Figurarsi, si sosterranno «nell’interesse del Paese». Ma attenzione, ammonisce Fi: «Non può più cambiare nemmeno una virgola». L’allusione è all’eventuale ritorno delle preferenze, ma da quel punto di vista Berlusconi non ha nulla da temere. Quella «virgola» Renzi è l’ultimo a volerla modificare.

Tutto bene, dunque? Per niente. Fi è lacerata, il cerchio magico, i verdiniani e i fittiani sono impegnati in una guerra all’ultimo sangue. Come si concluderà è impossibile dirlo, ma il disfacimento azzurro appare ormai irrefrenabile. Come quello dell’Ncd, dove la dissoluzione è però più rapida. Ieri ha abbandonato il partito Barbara Saltamartini. Altri due esponenti di spicco, Cazzola e Berselli, hanno fatto a loro volta le valigie: «Sul Quirinale è stata un figura penosa». Sacconi resta, ma battagliero: «Dobbiamo essere pronti a uscire dal governo». Lupi concorda: «Non siamo il tappetino di Renzi. Non siamo attaccati alle poltrone né siam nati per fare i cespugli». La collega ministra Di Girolamo è più focosa: fosse per lei la guerra sarebbe già iniziata. Formigoni insiste con la verifica: «Serve e presto riuniremo la direzione». La «guida di Alfano», però, non la mette in discussione nessuno, giura Lupi. In effetti ci ha già pensato da solo.

I due partiti di centrodestra sono allo sbando. Nessuno dei due mollerà apertamente Renzi: non se lo possono permettere. Nessuno dei due, però, costituirà più un appoggio affidabile per il governo. Renzi andrà avanti più o meno come un monocolore Pd, contando sulla presenza al Senato di interi plotoni in rotta per pescare di volta in volta i voti necessari. A godersela più di tutti è il solo, oltre a Renzi, che dalla guerra del Colle sia uscito vincitore: Salvini. Con la differenza che, mentre il Matteo fiorentino si è dovuto sudare la vittoria, a quello lombardo è bastato restare alla finestra per ritrovarsi capo dell’unica vera forza di destra in Italia.