A Sergio Mattarella le orecchie devono fischiare in modo assordante. Inutili le numerose conferme della sua indisponibilità a un secondo mandato: nei palazzi della politica e nelle redazioni il suo nome continua a risuonare come se quei dinieghi non esistessero. Ufficialmente ne parla il Pd Orfini: «Sarebbe la soluzione migliore». I senatori 5S hanno già dato, anche a costo di togliere ogni credibilità a Conte. Ma il numero di quanti considerano ancora non solo possibile ma probabile il sacrificio del presidente uscente è molto più folto. La partita del Colle si profila ogni giorno di più come un rompicapo irresolubile. Un bel bis sarebbe miracoloso, almeno per l’ala sinistra del parlamento.

Tutto è possibile ma nulla autorizza a credere che calcoli del genere vadano oltre il proverbiale wishful thinking. A cambiare idea Mattarella non ci pensa per niente e ancora meno ci pensa l’altra metà del parlamento, l’ala destra, che non ha mai speso una sillaba per convincerlo a tornare sulla sua decisione. Con la destra ostile un ripensamento non è neppure immaginabile. In linea puramente teorica sarebbe invece pensabile un mini rinvio. Il 24 gennaio dovrebbe infatti coincidere con il picco dei positivi. È ipotizzabile l’assenza di alcune decine di grandi elettori: un vulnus di prima grandezza, tanto più se i partiti arriveranno all’appuntamento alla cieca. È un nodo che la Costituzione non permette di sciogliere. Impraticabili le ipotesi lanciate in questi giorni: voto a distanza, rinvio, moltiplicazione delle urne. La sola via praticabile sarebbe una rielezione-lampo, tale da permettere di superare la fase dilagante del contagio. Forse, chissà, un passo del genere Mattarella sarebbe anche disposto a farlo, ma dovrebbero chiederglielo tutti e al momento né la Lega né FdI sarebbero disposti a posticipare l’ordalia.

La destra è all’offensiva. Forse sono solo ballon d’essai e classiche dichiarazioni della vigilia ma per adesso tutti e tre i leader principali insistono sulla elezione di un capo dello Stato di area centrodestra, concordato con i centristi, magari con aree dei 5S allo sbando, con una parte delle truppe in ordine sparso che affollano i gruppi Misti di entrambe le Camere. Si smarca solo Coraggio Italia, favorevole invece alla «promozione» di Draghi. Ma se Salvini e Meloni, pur confermando la fedeltà al candidatissimo di Arcore, non sarebbero indisponibili ad altri nomi, per Berlusconi di nome possibile ce n’è uno solo: il suo.

Ieri, in una raffica di telefonate con vari parlamentari, il Cavaliere ha chiarito la situazione: «In questa legislatura non c’è altro governo possibile dopo Draghi». La spiegazione ufficiale è che solo Draghi può tenere insieme questa maggioranza. La realtà è che Berlusconi cala la carta che sa essere più potente e per molti parlamentari più convincente. Chi elegge Mario Draghi deve sapere che Forza Italia non sosterrebbe un altro governo, né con questa maggioranza né con la formula «Ursula» che molti vagheggiano in questa vigilia. Con questo argomento contundente in una mano e la nota capacità di conquista e seduzione nell’altra, Silvio Berlusconi sarà da oggi fisso a Roma. La fase decisiva sta per iniziare. «Per Berlusconi saranno determinanti i prossimi 10 giorni»,conferma Toti e una fase così delicata il diretto interessato non ha certo intenzione di farla gestire ai plenipotenziari. I voti che gli mancano se li cercherà da solo.

Le parole di Berlusconi mandano su tutte le furie chi invece proprio su Draghi punta, il segretario del Pd Letta: «Penso che smentirà, sono sicuro che non le ha dette, sarebbero molto gravi». Tra due giorni a parlare ufficialmente di Colle sarà la direzione del Pd, previa segreteria riunita stamattina. Letta resta fermo sull’opzione Draghi. Nel partito e in particolare tra i parlamentari i poco o per niente convinti sono legioni.