Berlusconi: «Noi fedeli, Renzi pensi al Pd»
Riforme L’ex cavaliere rassicura il premier, ma a Fi la riforma del Senato non piace
Riforme L’ex cavaliere rassicura il premier, ma a Fi la riforma del Senato non piace
Renzi azzarda e punta tutto su un numero secco, la riforma del Senato. E’ una sfida tutt’altro che vinta in partenza. Gli scricchiolii sono numerosi, crescenti e temibili. Come se non bastassero il presidente del Senato e i 25 senatori ribelli del Pd che si sono subito schierati con Grasso, ieri ci si è messa anche la ministra dell’Istruzione Giannini, i cui distinguo vanno intesi come colpo di freno dell’intera Sc. Ma soprattutto ci si è messo Silvio Berlusconi, con un affondo in due tempi. Prima una nota firmata dai presidenti dei gruppi parlamentari Brunetta e Romani, ovviamente dettata dal capo: «In questo clima di preoccupanti convulsioni dentro il Pd e tra presidente del consiglio e presidente del Senato occorre ribadire che la prima riforma da realizzare è quella elettorale». Poi il rincaro dell’Interdetto in persona: «Renzi sia coerente. Noi rispetteremo fino in fondo gli accordi sottoscritti e siamo pronti a discutere ne dettaglio, senza accettare testi preconfezionati».
Sono testi eloquenti, soprattutto a leggerli tra le righe. E’ evidente la preoccupazione di non passare per «difensori della casta»: di qui l’insistenza sulle divisioni nel Pd. Ma è chiara anche l’intenzione di non far passare la riforma sul Senato così come è. E’ vero che, nel chiuso del Nazareno, Berlusconi aveva accettato la pietra angolare di un Senato non eleggibile, ma la composizione prevista dalla riforma renderebbe la camera alta una roccaforte inespugnabile del centrosinistra, storicamente in vantaggio nelle amministrazioni locali. Il che comporterebbe un’ipoteca fortissima sulla nomina del presidente della Repubblica (che resterebbe di competenza anche di palazzo Madama) ma in realtà anche su tutti i controlli che dovrebbero essere affidati al Senato. Soprattutto, dall’incontro del Nazareno a oggi è cambiato un particolare determinante, tale da cambiare tutto: il leader azzurro ha capito che il suo partito rischia forte di arrivare terzo dopo il Pd e Grillo e non secondo come era nelle previsioni appena poche settimane fa. Infine, Berlusconi non apprezza la scelta di posticipare la riforma elettorale, in netto contrasto con quanto stabilito a quattr’occhi con Renzi.
L’obiettivo del Cavaliere ovviamente non è rompere. Vorrebbe dire spogliarsi del ruolo del padre della nuova patria, che mai gli è sembrato così prezioso. E’ piuttosto ricontrattare tutto, anche per riaffermare la centralità del suo ruolo, scippatagli giorno dopo giorno dagli alleati-nemici di Alfano. Ma di spiragli Renzi per ora non ne ha lasciati, e senza un pronunciamento nettissimo di Berlusconi la grande maggioranza dei senatori forzisti boccerà la riforma. C’è chi lo dice chiaramente, come Gasparri e Napoli, c’è chi, come Minzolini, addirittura si prepara a presentare un progetto di riforma alternativo, con due camere elettive ma decurtate entrambe nel numero dei componenti, e con materie specifiche assegnate all’una o all’altra.
E’ vero che c’è anche un pattuglione di forzisti, intorno ai 14 senatori, decisi a difendere a tutti i costi la legislatura e dunque pronti, anche qualora il gruppo decidesse ufficialmente il pollice verso, a disertare l’aula come hanno già fatto in occasione del voto sulle province. Ma è anche vero che un gruppo di entità quasi identica farà probabilmente la stessa cosa dall’interno dell’Ncd, soprattutto ora che, con il probabile ritorno all’ovile dell’ex governatore calabrese Scoppelliti, una regione chiave si appresterebbe a tornare a Fi.
Il Gruppo Misto, che è ormai composto da 23 senatori, voterà contro, così come i grillini, i leghisti e probabilmente tutti i gruppi della stessa maggioranza a eccezione del Pd (fatti salvi i dissidenti) e dell’Ncd. Dunque, se il dissenso Pd non rientrerà e se Renzi non troverà modo di rivitalizzare un patto del Nazareno che al momento è di fatto già saltato, la riforma non passerà. A quel punto il premier, dopo le europee, dovrà scegliere tra stringere una nuova alleanza, stavolta anche di governo, con Fi o optare per le elezioni subito col consultellum, con una campagna elettorale centrata sulla richiesta di forza per sconfiggere la casta. Ma molto, naturalmente, dipenderà proprio dall’esito delle europee.
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