Marina, Barbara, Piersilvio? Il caso è chiuso. «Ho preso questa decisione. Resto io il leader, e per favore non parliamone più». Con queste parole, di fronte al comitato di presidenza forzista riunito per la prima volta dopo la doccia fredda europea, l’Interdetto liquida definitivamente il tormentone dell’erede in campo. Ma così facendo blocca anche gli appetiti dei capibastone che scalpitano per il posto di capo assoluto. Quel trono è già occupato e il re non ha intenzione di lasciarlo vacante. Bisognerà, certo, individuare un candidato premier, ma a tempo debito. Farlo ora, dopo che il voto europeo ha fatto schizzare la data delle elezioni politiche in avanti di anni, sarebbe tanto assurdo quanto autolesionista. Quando sarà l’ora, certo, l’investitura sarà affidata alla coalizione col metodo delle primarie. Ma quell’ora, caro Raffaele Fitto, è lontana. La faccenda non è all’ordine del giorno.

Ricostruire la coalizione, quello sì che è un imperativo urgente. Bisogna iniziare a lavorarci subito, e Berlusconi ha le idee chiare sul come avviare il processo. Riparte dal nord, dall’alleanza con la Lega, dall’asse che in passato si è sempre dimostrato vincente. Oggi stesso, alle 17, firmerà a Montecitorio i referendum proposti dal Carroccio, con immediato codazzo di conferenza stampa in coppia con Matteo Salvini. Si fa sentire infine anche il fondatore della Lega, per riconoscere la «bravura» di Matteo il Successore ma anche per ricordare che «Berlusconi è ancora vivo, però sull’accordo ci vuole prudenza». E’ solo un modo di tirare sul prezzo, o più precisamente sullo stringente condizionamento politico che il Carroccio dovrà esercitare sul centrodestra in senso frontalmente antieuro. Ma sull’opportunità dell’accordo, il senatur è tanto convinto quanto l’erede.

Coalizione dunque. Però, sottolinea Berlusconi, «non con tutti e non a ogni costo». Messaggio indirizzato ad Angelino Alfano, che di sfuggita l’ex padre e protettore indica anche come uno dei responsabili del mancato raggiungimento di quella quota 20% che a Berlusconi sembrava davvero a portata di mano. Il leader azzurro è stanco delle resistenze e dei dinieghi dell’ex delfino. Le elezioni hanno certificato la debolezza di un progetto già morto come quello dell’Ncd e l’ex cavaliere sa benissimo che ad aver ragione delle bizze di Angelino sarà quell’Italicum di cui non a caso Toti dice che «fosse per noi sarebbe già stato approvato». La legge costringerà i reduci del drappello neocentrista ad entrare in coalizione o a sparire. Fino a quel momento, tanto varrà trattare direttamente con i resti dell’Udc, che hanno permesso ad Angelino di superare una soglia di sbarramento altrimenti proibitiva e che lo hanno surclassato, con Lorenzo Cesa, nelle preferenze. Il semaforo verde sulla legge elettorale, però, non comporta lo stesso via libera anche sulla riforma del Senato. Lì Berlusconi è invece orientato a resistere, soprattutto per costringere Renzi al referendum confermativo e così prendere tempo.

La vera novità è che, per la prima volta nella storia dei suoi partiti e delle sue coalizioni, Berlusconi piange miseria e batte cassa. Tutta colpa di quella «iniqua» legge sul finanziamento dei partiti che gli impedisce di sborsare di tasca sua per foraggiare il suo partito e anche quelli alleati, come ha fatto finora. «Siamo con l’acqua alla gola. Servono 30 milioni di euro» (stima di Verdini). E’ ora che i parlamentari facciano quel che mai gli è toccato fare: «Muovetevi, girate per i territori, raccogliete finanziamenti». Se c’è un segno inequivocabile di come sono cambiati i tempi, è certamente questo.