I senatori reggono sì e no un paio d’ore. Poi sciamano fuori dall’aula e il dibattito sulla legge per definizione più importante, la riforma della Carta, oltretutto quella che probabilmente li renderà gli ultimi senatori eletti, prosegue tra i banchi vuoti. Non è il classico disinteresse dei rappresentanti del popolo per il compito che gli è stato assegnato. È la manifestazione di un malessere più che diffuso, quasi onnipresente. Perché saranno in tanti a votare a favore della riforma di Renzi, ma sono in pochissimi a crederci. La stragrande maggioranza obbedisce agli ordini.

Ordini tassativi. Il decisionista di palazzo Chigi è intenzionato a spingere verso la porta chiunque osi mettersi in mezzo. Chi, come Paolo Gentiloni, ha tentato domenica di convincerlo a non adoperare i mezzi più drastici si è trovato di fronte un muro: chi non accetta il vincolo di maggioranza è meglio che si tolga di mezzo senza mezze misure. Non è detta l’ultima. Non è escluso che Matteo il Duro alla fine non ci ripensi. Ma la minaccia che pesa sui senatori del Pd è tutt’altro che remota. Non convincerà tutti i reprobi alla resa, forse anzi li rinsalderà nella loro decisione, perché non fa piacere a nessuno sentirsi accusare di «pensare solo all’indennità». Ma qualcuno ne recupererà e comunque convincerà gli eventuali indecisi ai miti consigli.

Berlusconi è alle prese con un problema simile, ma in formato extralarge. Oggi alle 14.30 incontrerà i gruppi parlamentari congiunti. Ripeterà che dal processo delle riforme non ci si può autoescludere, che il prezzo in termini di consenso sarebbe pesantissimo e la rappresaglia, una legge elettorale concordata con i grillini e studiata per fare le scarpe al partito azzurro, lo renderebbe infinitamente più caro. Non troverà la strada spianata. «La riforma continua ad avere poche luci e molte ombre. È altamente consigliabile una pausa di riflessione», dichiara Augusto Minzolini, ormai capofila dei ribelli azzurri a palazzo Madama, che già prepara un intervento durissimo in aula. Una requisitoria non solo sulla riforma del Senato ma sull’intera linea politica del partito. Quella stessa strategia che domenica Raffaele Fitto ha bollato con parole definitive: «Ci stiamo facendo ipnotizzare da Renzi». Nonostante le pressioni, sono ancora una ventina buona i senatori intenzionati a votare contro il Senato non elettivo. Potrebbero persino crescere: ieri un pezzo da novanta sin qui scevro da dubbi come Nitto Palma metteva in forse, a porte chiuse, il suo assenso.

Non gioverà alla causa del premier il fatto che, come pubblicato ieri dal Corriere della sera, sul tavolo del premier campeggino le proiezioni dei voti delle europee, riapplicati alle politiche con diversi sistemi elettorali, preparate da Denis Verdini. Non gioverà neppure la consapevolezza, diffusasi negli ultimi giorni, che il progetto del premier comporta quasi certamente il taglio dei vitalizi per i senatori in carica. Ma soprattutto non gioverà il sospetto sempre più forte che, una volta incamerato il sì azzurro sul Senato, Renzi si prepari ad affondare Fi sull’Italicum. Ncd e Lega non hanno alcuna intenzione di accettarlo così com’è, e lo ripetono ogni giorno. Lo stesso premier apre uno spiraglio ai pentastellati mostrandosi addirittura possibilista sulla possibilità di assegnare il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione, che per Fi sarebbe una tomba. È un segno dei tempi che a dar voce alle paure degli azzurri sia un piddino ribelle come Massimo Mucchetti, in una lettera aperta all’ex cavaliere: pubblicata sull’Unità: «Berlusconi si illude sulla tenuta del patto del Nazareno. Renzi segue la politica del carciofo: oggi la riforma del Senato come la vuole lui; domani l’accordo con Bersani, Alfano e Calderoli sulla legge elettorale, scaricando Fi». Lo scrive Mucchetti. Lo pensano decine di azzurri.

Infine c’è la Lega. Ai padani l’accordo non piace. Calderoli lo ha difeso, ma con tali e tante critiche da somigliare a un mezzo attacco. I senatori sono molto più ostili, e in aula non lo hanno mandato a dire. Salvini è esplicito: «Il sì della Lega non è per nulla scontato». La riforma alla fine passerà. Però con questo clima è facile che sia non la prima ma l’ultima.