Conferenza stampa congiunta Salvini-Giorgetti, al termine della segreteria politica della Lega. L’annuncio sembra preludere al semaforo verde per Draghi, mossa strategica non solo opportuna ma necessaria per bloccare il tentativo in corso di trasformare «il governo di tutti» in un governo a maggioranza Ursula. La posta in gioco, nel primo giorno di consultazioni, è questa: chi imprimerà il proprio marchio sul governo di super Mario. Luigi Di Maio e Beppe Grillo si sono mossi per tempo. Giuseppe Conte ha fatto la sua parte. A destra Silvio Berlusconi ha saltato il fosso, dopo una riunione infuocata. Mara Carfagna, scatenata, ha spezzato un’intera batteria di lance a favore del sì subito. Anzi, con le sue stesse parole, «di un sì senza se e senza ma».

L’ala azzurra più vicina al Carroccio resiste, punta sull’astensione: «Dobbiamo essere sicuri che questo governo non vada a stringere la mano ai gilet gialli e a Maduro». Di fronte a simili argomentazioni il sovrano rompe gli indugi e fa quel che in cuor suo aveva già deciso di fare. Si schiera a favore dell’ex presidente della Bce: «La scelta di Draghi, a cui mi lega un’antica stima, va nella direzione che abbiamo indicato da settimane».

L’unità del centrodestra è già un caro ricordo. «Siamo una coalizione, mica un partito unico», taglia corto sbrigativa la capogruppo Mariastella Gelmini. Infatti i partiti semplicemente coalizzati, dopo non aver firmato insieme il documento conclusivo del vertice di mercoledì, arriveranno da Mario Draghi per le consultazioni divisi. A guidare la squadra azzurra , nel tardo pomeriggio di oggi, sarà re Silvio in persona: appuntamento da grandi occasioni, massimo spolvero. Il turno di Matteo Salvini arriverà domani e non a caso Draghi ha messo i leghisti in fondo alla lista degli appuntamenti.

Salvini avrebbe dunque l’occasione perfetta per incunearsi e provare a spezzare l’asse Pd-M5S-LeU che, contro ogni previsione, si sta ricostituendo grazie alla retromarcia di Grillo e Di Maio. Il suo sì al governo Draghi sarebbe deflagrante, renderebbe il recupero del M5S molto più difficile, precipiterebbe il Pd nell’incubo: ritrovarsi solo al governo con il Turpe per eccellenza. Giancarlo Giorgetti spinge con quanta forza ha in quella direzione: «Uno come Draghi non sta in panchina. È come Ronaldo», sbotta chiacchierando con i cronisti. Salvini però esita. Si spinge sino a un certo punto: «Per noi l’unità del centrodestra è importante ma il bene del Paese viene prima». Ma si ferma prima del passo decisivo: «Draghi dovrà scegliere tra i nostri programmi e quelli del Movimento 5 Stelle». Suona come un aut-aut e di fronte a un governo politico perché aperto alla presenza dei politici ma che dovrebbe costitutivamente non essere di parte è la formula più sbagliata che si possa immaginare e neppure rallenta la marcia della ex maggioranza verso l’egemonizzazione del governo nascituro. Il Pd coglie la palla al balzo e calca la mano: «Noi e la Lega siamo forze alternative». Al tentativo di rendere politico in tutti i sensi il prossimo governo non rinuncia nessuno ed è ovvio che sia così.

Non che sia detta l’ultima parola. La partita è appena iniziata e non sarà breve. Dopo il primo giro di consultazioni ce ne sarà un secondo e in mezzo tutti i partiti, Lega inclusa, definiranno le loro condizioni. Programmatiche certo, ma ancora prima centrate sui ministeri. Non è questione di occupazione di poltrone, ma di continuità o discontinuità. L’elemento è decisivo e a far pendere la bilancia dall’una o dall’altra parte sarà proprio la distribuzione dei ministeri. Se il governo Draghi restituisse plasticamente l’immagine di una squadra tutta diversa da quella precedente il messaggio suonerebbe inevitabilmente come bocciatura secca dell’esecutivo uscente.

Se invece almeno alcuni ministeri chiave, quelli più esposti nella gestione della crisi come la Sanità, l’Economia e l’Istruzione restassero invariati sarebbe il segno di un testimone che passa da un premier all’altro senza cesure. La Lega dunque insisterà sul ricambio: «Il governo Draghi non può essere la fotocopia del governo precedente con un altro premier». In più insisterà, sempre che la trattativa decolli, per la presenza di due suoi ministri, con Giancarlo Giorgetti, del resto stimato da Mario Draghi, in prima fila.