Anche solo per decenza, l’uomo da cui dipende la sopravvivenza del governo Pd-Pdl dovrebbe ritirarsi a vita privata. Per sempre, come imporrebbe la sentenza pronunciata ieri dal tribunale di Milano. Un giudizio severo che però cade, dopo due anni di passione triste, in un contesto inimmaginabile per tutti coloro che pensavano di “far fuori” Berlusconi grazie alla madre di tutti i processi. Il caso Ruby, quello che veniva spacciato come “definitivo”, un horror girato sul set della grande ipocrisia della politica che ha dovuto riabilitare il Cavaliere per sopravvivere a se stessa.
Sarà per questo che anche ieri, come accaduto per altre sentenze, autorevoli esponenti del Pdl hanno ripetuto come un mantra la formula secondo cui «la sentenza non avrà ripercussioni sul governo». Semplicemente perché così ha deciso Silvio Berlusconi. «Ero veramente convinto che mi assolvessero – sono le sue prime parole – e invece è stata emessa una sentenza incredibile, di una violenza mai vista né sentita prima, per cercare di eliminarmi dalla vita politica. E’ un’offesa a tutti gli italiani che hanno creduto in me… ma io, ancora una volta, intendo resistere a questa persecuzione perché sono assolutamente innocente e non voglio in nessun modo abbandonare la mia battaglia per fare dell’Italia un paese davvero libero e giusto».

Non sembra una resa. Sicuramente Berlusconi ha subìto il colpo più infamante della sua carriera: i giudici della quarta sezione del tribunale di Milano, presieduti da Giulia Turri, lo hanno condannato a 7 anni di reclusione ritenendolo colpevole di entrambi i reati contestati. Concussione per costrizione (la tragicomica telefonata alla questura che di fatto ha obbligato i poliziotti a liberare Ruby, «è la nipote di Mubarak») e prostituzione minorile (secondo i giudici ha avuto rapporti sessuali con Ruby quando era ancora minorenne).
Quello che più pesa, però, è l’interdizione a vita dai pubblici uffici. Il tribunale di Milano ha inflitto una pena più alta di quella richiesta dalla pm Boccassini (da 6 a 7 anni). I giudici, inoltre, hanno «invitato» la procura a valutare l’ipotesi di reato di falsa testimonianza di alcuni testimoni, tra cui le ragazze che partecipavano alle “cene eleganti” e che oggi sono stipendiate da Berlusconi (2.500 euro).
Per l’avvocato Ghedini, che ovviamente farà ricorso in appello, «siamo fuori dalla realtà processuale». Dice che si aspettava una condanna così pesante, «avevo anticipato la mia convinzione che i giudici sarebbero andati oltre rispetto alla procura» e che il processo non andava celebrato a Milano. E la politica come ha reagito? Con l’elmetto in testa gli esponenti del Pdl, tra “falchi” che minacciano la stabilità e “colombe” che puntellano il governo, e molto più imbarazzati del solito – se possibile – gli esponenti del Pd. Tutto già visto, insomma. con Daniela Santanchè che comincia a sbraitare in aula ancora prima della sentenza. Ma la linea, o l’invito a darsi una calmata, arriva dal segretario del Pdl Angelino Alfano, dunque, viene da pensare, da Berlusconi stesso: «L’ho chiamato per manifestargli la più profonda amarezza e l’immenso dolore di tutto il Pdl per una sentenza contraria al comune senso di giustizia, l’ho invitato a tenere duro e ad andare avanti». Non sarà una festa, ma il governo Letta per ora non deve temere.
Marina Berlusconi, la primogenita, si è sfogata e le sue parole non andrebbero mai sottovalutate: «Non chiamiamola sentenza, non chiamiamolo processo, non chiamiamola giustizia. Tutto il castello crollerà, e certo la verità verrà ristabilita, ma questo non basta in alcun modo a mitigare l’amarezza e lo sdegno».

Quel che resta della sinistra, invece, si felicità ai margini con accenti diversi. Il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero saluta positivamente la sentenza e si chiede se «il Pd non ha nessun imbarazzo a stare in maggioranza con un figuro come Berlusconi», mentre il leader di Sel Nichi Vendola, pur non augurandosi la «rovina giudiziaria di un avversario», per una questione di decoro gli suggerisce l’abbandono della vita pubblica. E a proposito di decoro, gli alleati di governo del Cavaliere se la cavano con una nota che non passerà alla storia, o forse sì: «Come sempre il Pd esprime rispetto per le decisioni, di qualunque segno siano, che la magistratura prende nella propria autonomia». Come sempre, la sentenza decisiva sarà la prossima. Forse.