Silvio Berlusconi deve decadere dal mandato senatoriale. L’enfasi, i riflettori, si spiegano perché è la prima volta, da quando 19 anni e sei mesi fa entrò in parlamento, che Berlusconi riceve una pronuncia contraria sul suo titolo ad essere eletto. E’ l’uomo dei conflitti di interesse, delle violazioni alla par condicio, è il concessionario pubblico cui sarebbe impedito l’elettorato passivo, ma fino a ieri non si era dovuto preoccupare troppo delle leggi, grazie ad alleati obbedienti e avversari compiacenti. Per questo la giornata è un po’ «storica». Per il resto, tutto come previsto, anche nei numeri – 15 senatori favorevoli alla decadenza, 8 contrari – ed è solo un passaggio intermedio. La giunta propone la decadenza all’aula, l’aula del senato riceverà la relazione entro venti giorni e il presidente Grasso fisserà la seduta per il voto definitivo senza obbligo d’urgenza. E senza garanzia di risultato: sulla carta la maggioranza è nettamente sfavorevole a Berlusconi, ma con il voto segreto la sorpresa è possibile.
Senza la goffaggine di Vito Crimi, senza le speculazioni sugli aiuti imprevisti dei 5 Stelle al Cavaliere in vista dell’aula, il grande giorno sarebbe stato persino un po’ noioso. Assenti Berlusconi e i suoi avvocati, come preannunciato, il dream team legale del Cavaliere si limita a un paio di comunicati, in apertura e chiusura di seduta, assai simili nei contenuti: non c’è possibilità di difesa, la giunta non è imparziale, i suoi componenti hanno già anticipato i loro orientamenti a mezzo stampa – hanno scritto gli avvocati Coppi, Ghedini e Longo. Annunciando per le ennesime volte l’intenzione di ricorre alla corte di giustizia europea, la quale dunque, al tempo, farà la conoscenza di Crimi Vito.
Stringato il presidente Dario Stefano nella parte del relatore che si impone un profilo sopra le parti – ma non fino al punto di non votare – la seduta pubblica è vissuta solo della performance dell’avvocato Salvatore di Pardo, unica presenza estranea ai 23 senatori, spostati dall’aula della giunta alla vecchia sede della biblioteca di palazzo Madama, la stessa in cui mercoledì si è consumata la frattura nell’assemblea del gruppo Pdl. Di Pardo rappresentava Ulisse Di Giacomo, elemento di provata fede berlusconiana fino a che il Cavaliere non gli ha fatto il torto di optare proprio per il seggio in Molise, dove lui risultava il primo dei non eletti. Adesso Di Giacomo in senato ci vuole andare – per appoggiare Letta con più convinzione – dunque tifa per la caduta dell’antico idolo. E ha scelto per tutelarsi l’avvocato che ha già aiutato il candidato di centrosinistra alle regionali molisane.
Da lui nessun timore reverenziale: «Non sarete un collegio ’terzo’ per Berlusconi, che è vostro collega senatore, ma per lui è meglio così, un giudice ordinario l’avrebbe da tempo dichiarato decaduto». Il regolamento prevede che sia il presidente Stefano a girare le domande dei commissari all’avvocato, e l’avvocato ne approfitta per farsi sarcastico: «Vogliamo andare avanti così? Ma chi mi fa queste domande? No, presidente, non posso rispondere, e non perché non sappia la risposta. Scusate, ma la legge l’avete fatta voi…».
Chiusa la seduta pubblica e la diretta streaming, i senatori si sono riuniti in camera di Consiglio, dove Crimi si è dovuto difendere per il post. Se n’è avuta subito notizia, perché l’aula della commissione ambiente dove si sono rinchiusi non ha le pareti piombate, e i tablet circolavano. Il senatore Pdl Malan ha chiesto la sospensione, il presidente Stefano ha giudicato non decisivo l’incidente e così ha fatto anche il presidente del senato Grasso.
Il senatore socialista Buemi si è differenziato dal resto del centrosinistra su due delle cinque richieste di Silvio Berlusconi, quella di chiamare in causa la Corte del Lussemburgo e quella di sollevare eccezione di incostituzionalità sulla legge Severino. Respinte comunque anche quelle. La tesi favorevole alla decadenza di Berlusconi in base all’articolo 3 della legge Severino (incandidabilità sopravvenuta) con i voti contrari dei senatori Pdl e Lega è passata. Diniego di convalida e non decadenza perché fino a ieri l’elezione del Cavaliere non era stata ancora perfezionata.