All’Eur, come 25 anni fa, quando Forza Italia era la sorpresa, il mistero ancora da scoprire e Silvio Berlusconi l’asso pigliatutto. È cambiato tutto in questo quarto di secolo: dal partito di plastica, farcito di sconosciuti buttati in lista senza guardare per il sottile, dilettanti allo sbaraglio, al partito professionale che fa le pulci agli incompetenti a cinque stelle. Allora l’intruso era guardato con massimo allarme. Oggi le stesse aree che allora suonavano le campane a distesa lo riconoscono come elemento rassicurante. Ma soprattutto l’astro in ascesa, dopo 25 anni, è già un bel pezzo avanti nella parabola inversa, sul viale del tramonto.

Dei dirigenti di allora ce ne sono appena un paio: Antonio Tajani, che si vede scippare il delfinato dalla ben più agguerrita Mara Carfagna, e poi l’eterno sovrano, il fondatore, leader e proprietario, Silvio Berlusconi. Non è l’unico a credere di potercela fare ancora una volta sorprendendo tutti. Ma quelli che ci credono, anzi quelle perché il nuovo stato maggiore è composto per lo più di donne, come la stessa Mara e le capogruppo Mariastella Gelmini e Annamaria Bernini, resistono perché credono in lui: l’unico a poter fare il miracolo. Una sfida quasi impossibile, è evidente. Per l’occasione Berlusconi mirava a tenere un discorso fluviale e stentoreo, anche per dimostrare di essere ancora vigoroso. Non ce l’ha fatta. I problemi di salute delle ultime settimane lo costringono a un discorso più contenuto, lo lasciano con in filo di voce, quasi spossato.

Per l’ultima crociata il grande imbonitore riserva l’abituale propaganda, quella sulla quale ha vissuto politicamente per decenni, solo agli odiati 5S, che «comunisti ma anche incompetenti: il che li rende ancora più pericolosi». Uno strale anche per Salvini, che quasi nessun altro osa nominare dal palco: «Il governo è prevalentemente nelle mani dei 5S. Di Maio è un ottimo comunicatore: fa finta di essere sottomesso a Salvini, invece si prende tutta la sostanza e lascia alla Lega solo le apparenze». È quello che ripete ogni sera nelle sue diuturne apparizioni televisive Marco Travaglio: ci voleva il pericolo Salvini per far dire le stesse cose a due tipi così inconciliabili.

Poi re Silvio passa all’alta politica: un progetto per l’Europa, la fine dell’etereno asse Ppe-Pse per aprire le porte a un’alleanza tra i popolari e la destra, e chissà se è per facilitare l’intesa proponendosi come collante neutrale che Berlusconi, già a suo tempo artefice dell’ingresso di Orbàn nel gruppo popolare, ha cancellato dal suo simbolo elettorale il richiamo al Ppe. Non manca la geopolitica, ripresa poi dalla Bernini: contro l’invadenza cinese ci vuole il sovranismo. Quello europeo, non quello delle piccole patrie.

A galvanizzare la platea però è la Carfagna, con un discorso brandito come una scimitarra contro Salvini: «Il disegno di svuotarci è fallito. Le regionali confermano che il paese non vuole consegnarsi alle destre sovraniste. Il contrappeso moderato di Fi è indispensabile». La platea applaude. Tajani, che si vede spodestato di fatto, un po’ mastica amaro. Ma il segno del cambiamento di una fase storica è anche questo: oggi a destra la postazione centrale, quella rispetto alla quale si compongono le fazioni e gli schieramenti, è la Lega. Le bande che si fronteggiano nel partito di Arcore sono senza mezze misure i «salviniani» come Giovanni Toti che non a caso ieri era assente, come una parte sostanziale del cerchio magico che attornia l’anziano monarca e soprattutto, anche se per motivi diversi, come l’azienda, a partire da Confalonieri, e gli «antisalviniani», quelli che hanno tenuto banco ieri.
Il monito che il capo rivolge a Toti, «abbiamo avuto pazienza sino ad adesso. Credo che sia il momento di finirla con la pazienza», rivela che Berlusconi è dalla stessa parte. Ma la sfida è diretta e personale, riguarda lui quanto e più del partito. Se il distacco nelle preferenze rispetto a Salvini sarà umiliante il partito si sgretolerà un attimo dopo, e molti di quelli che ieri applaudivano cercheranno riparo dal nuovo sovrano. Tutto lascia pensare che le cose non possano che andare così. Ma con Berlusconi in campo non si sa mai