Via libera definitivo del Bundestag all’invio di 1.200 soldati tedeschi sul fronte siriano. Con 445 voti contro 145 (7 astenuti) ieri il Parlamento ha approvato l’impiego della Bundeswehr nella guerra contro Daesh fino a dicembre 2016. Votano a favore Cdu-Csu e Spd, contro i Grünen e la Linke, che definisce l’intervento militare «una follia». Pochi e ininfluenti i dissidenti nella Grande coalizione (2 nell’Union, 28 nel Spd) come nell’opposizione, con 4 deputati Verdi schierati con il governo.

Passa così l’impegno dell’esercito contro l’Isis insieme al supporto aeronavale alla Francia con sei Tornado e la fregata Augsburg pronti a intervenire già da domani. Misura «necessaria e legittima», garantisce il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier (Spd) che incardina la copertura legale sulla Carta dell’Onu e sulla richiesta di assistenza del governo di Hollande (ieri al Bundestag era presente anche una delegazione dell’Assemblea nazionale francese).

E passa un’operazione da 134 milioni di euro che «non viola la legge fondamentale tedesca», assicura il ministro della Giustizia Heiko Maas.
Una richiesta inaccettabile a sentire invece la capogruppo dei Verdi Katrin Göring-Eckardt che denuncia «una mossa avventata dai rischi incalcolabili». Secondo lei «troppe domande rimangono senza risposta e non c’è alcun piano dietro alla missione». Alla base, rincara il collega Anton Hofreiter, solo «l’attivismo che denota un’operazione mal concepita».

Ma l’attacco più frontale al governo arriva dalla Linke che non usa mezzi termini per definire la psicosi della guerra a livello istituzionale. «Cos’è questa follia?», scandisce la leader parlamentare Sara Wagenknecht di fronte all’aula mezza vuota, prima di ammonire: «Fare la guerra peggiorerà la situazione. Così a rafforzarsi è solo l’Isis».

Egualmente contundente la dichiarazione dell’altro capogruppo della Linke, Dietmar Bartsch, che invita i deputati a riflettere sugli errori del passato: «Il terrore non si combatte con le bombe: ogni ordigno che cade su Raqqa rafforza i terroristi», riassume, convinto che «proprio lo Stato islamico è il prodotto della guerra Usa contro l’Iraq e il governo tedesco non ha imparato nulla dal disastro in Afghanistan. Così ora passa a un’altra avventura».

Definizione urticante per l’alleanza rosso-nera e parola che fa letteralmente balzare dalla sedia Ursula von der Leyen, ministra della Difesa che guida il fronte degli interventisti. «Non è un’avventura ma un impegno terribilmente serio», ribatte indignata il falco della Cdu. Von der Leyen ammette la «legittimità di molte domande» ma rispolvera l’analogia con l’invio di «attrezzature» ai Peshmerga curdi autorizzata dal Bundestag nel 2014, decisione altrettanto controversa.

Almeno quanto l’invio di armi ai governi di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, di cui la Linke ieri ha preteso la «cessazione immediata» dopo l’allarme sul ruolo destabilizzante dei sauditi lanciato dall’intelligence federale. Un problema minore, secondo il portavoce della politica estera dell’Spd Rolf Mützenich, scottato dagli attacchi di Parigi che «bruciano ancora nella memoria e inducono a praticare la solidarietà europea», e aspetto secondario per Norbert Röttgen, presidente della commissione Esteri del Parlamento (Cdu) che accusa la sinistra di «confusione ideologica».

Intanto fuori dalla cupola trasparente del Bundestag l’anemometro dei sondaggisti misura il vento di guerra nell’opinione pubblica con due indagini sintomatiche: il 58% dei tedeschi si schiera a favore dell’intervento, il 37% contro (fonte Ard) mentre l’istituto Emnid segnala che il 46% degli intervistati appoggia l’impegno militare ma chi si oppone vale il 47%. In pratica solo il 41% è convinto che Daesh si possa sconfiggere con le armi, obiettivo impossibile per il 53% del campione.

Ma il voto di ieri restituisce anche la mutazione della Bundeswehr sempre più in versione Wermacht: il conto dei militari tedeschi impegnati nelle missione estere nel 2015 sale a 2.528 soldati inquadrati nelle operazioni «Resolute support» in Afghanistan (900 uomini) «Kfor» in Kosovo (763) «Active fence» in Turchia (256) «Eutm» in Mali e Somalia (288, 350 nel 2016) e «Atlanta» nel Corno d’Africa (241), «Unifil» in Libano (128) «Unmiss» in Sud Sudan (16) e le presenze nel Sahara Occidentale, Repubblica centrafricana e Somalia.

In tutto 176.500 soldati attivi. Un plotone rispetto al mezzo milione di tedeschi arruolati ai tempi della guerra fredda e congedati dopo il 1990; più che sufficiente per combattere la prima guerra di Angela Merkel.