I controlli alle frontiere non fermano l’arrivo di profughi in Germania: ieri mattina alla stazione ferroviaria di Monaco se ne contavano già 800 e altri treni erano attesi fino a sera. Dopo un lieve calo lunedì, seguito all’annuncio della sospensione della libera circolazione, il movimento di migranti verso la Repubblica federale è tornato ai livelli precedenti: martedì, a fine giornata, se ne contavano circa 3.500.

Non tutti arrivano con treni o autobus: ieri si sono registrate le prime centinaia di migranti che hanno raggiunto il Paese a piedi, varcando il confine austro-tedesco presso il comune bavarese di Freilassing: a Salisburgo, in Austria, era sospeso il traffico ferroviario verso la Germania.

Un portavoce della polizia federale tedesca descriveva la situazione in quel punto della frontiera come «molto critica».

Un effetto indiretto, tuttavia, la sospensione di Schengen l’ha prodotto: come hanno rilevato le stesse forze dell’ordine, sono in aumento gli ingressi «clandestini». Molti profughi allarmati dalla reintroduzione dei controlli alle frontiere, nell’incertezza della realtà che li attende, si stanno mettendo nelle mani degli «scafisti di terra», che promettono loro accessi per vie secondarie, meno battute dalla polizia di frontiera. Il pericolo di nuove tragedie come quella del tir austriaco con 71 cadaveri, dunque, è destinato a crescere, perché la paura delle frontiere bloccate alimenta il business dei trafficanti che speculano sulle vite di chi fugge da guerra e fame.

La Germania «politica», nel frattempo, cerca di venire a capo dell’emergenza-profughi, ma senza riuscirci. Nella serata di martedì un super-vertice fra il governo federale e tutti i governatori dei Länder non ha portato a risultati concreti. I centri di raccolta scoppiano, ma nessun passo avanti sulla modifica delle lentissime procedure per smaltire le domande di asilo (2 anni in media), e soprattutto molta distanza sul problema principale: le risorse. Berlino ha stanziato finora 6 miliardi: una cifra largamente insufficiente secondo tutti i capi di governo regionali. Che ne chiedono il doppio.

Ma il custode del bilancio federale, l’austero ministro Wolfgang Schäuble, non ha intenzione di derogare alla sacra regola del pareggio di bilancio: per il veterano politico democristiano il deficit zero, raggiunto dal Paese già l’anno scorso, è un punto d’onore. E quindi i soldi necessari per aprire nuovi centri di accoglienza e gestire meglio l’afflusso di richiedenti asilo possono essere racimolati soltanto tagliando un po’ il bilancio di ogni ministero.

Una scelta che non va giù a Sahra Wagenknecht, prossima a diventare capogruppo parlamentare della Linke: «I miliardari che vivono in Germania dispongono di un patrimonio totale di 2,5 mila miliardi di euro. Malgrado questa esorbitante ricchezza, di fronte alla necessità di trovare soldi per l’aiuto ai profughi al ministro Schäuble non viene in mente altro che tagliare la spesa pubblica. In questo modo utilizza i profughi contro il resto della popolazione». Per la carismatica Wagenknecht un’alternativa ci sarebbe: introdurre subito una tassa sulle grandi ricchezze.

Una misura che la grosse koalition fra democristiani e socialdemocratici è ben lungi dal prendere. La politica sociale si muove, anzi, in senso contrario, anche grazie a una sentenza pronunciata martedì dalla Corte di giustizia dell’Ue in una contesa che opponeva il governo tedesco a una cittadina svedese. L’oggetto: il reddito minimo che Berlino ha concesso alla straniera comunitaria (con 4 figli) per soli 6 mesi, in virtù del fatto che la signora aveva lavorato in precedenza per appena 11 mesi.

La causa di fronte ai giudici europei nasce dal fatto che per i cittadini tedeschi non è previsto alcun limite temporale nel godimento di quella prestazione sociale: una discriminazione, secondo la cittadina svedese. La Corte Ue ha dato invece ragione all’esecutivo di Berlino: il trattamento differenziato è ammissibile, perché non contrasta con le norme comunitarie. L’Europa della solidarietà si allontana sempre di più.