Lorenzo Monfregola già attivo giornalista culturale è con Gli annegati (Il Saggiatore, pp. 362, euro 19) al suo esordio letterario, testo teso e feroce che rifugge una classica struttura narrativa per imporre un discorso corporeo denso, a tratti volutamente grezzo che fa i conti con la fisicità di un tempo solo apparentemente incorporeo, ma che in realtà suggestiona e attraversa i nostri spazi più intimi.

Il protagonista e voce narrante de Gli annegati è Arthur Cipriani, uomo di mezza età sperduto in un tempo indistinto eppure fortemente contemporaneo. Cipriani vive a Berlino – capitale simbolo di una gioventù che ancora stenta a fare i conti con gli anni che passano -, si occupa di marketing e fa parte di quel mondo occidentale acculturato che prova a dare alla noia la forma di un impegno e alla banalità la sensazione che sia un’idea.

ARTHUR CIPRIANI vive così nell’instabile equilibrio umano o meglio ancora di un maschio ancora invischiato in un’infanzia eterna, in una sorta di morbida ed estesa immaturità che si palesa nel linguaggio che mischia feracità a ingenuità. Ma Cipriani è anche un adulto che sembra vivere con angoscia l’obbligo a una forma di maturità che traduce quasi sempre in obbligo una conformista ambizione. Un vero e proprio strangolamento che si traduce nella lingua dinamica e sciolta di Lorenzo Monfregola in una rincorsa continua e a tratti angosciante.

Cipriani non è infatti un fallito o un borderline, non è un escluso dalla società, ma ne è parte integrante anzi per certi versi rappresenta ed è parte attiva di uno dei suoi più efficaci e funzionali ingranaggi. Per nulla avulso dal contesto dentro cui vive, si rivela, così come in uno specchio, più semplicemente e drammaticamente inadeguato. Un incapace tra gli incapaci in un mondo oppresso dalla propria stessa inadeguatezza rispetto a grandi temi nodali. Una società che sembra sempre più sull’orlo del baratro di fronte a un tempo che sta per scadere, che sta per ridurre ai minimi termini anche la possibilità di una vaga e complicata sopravvivenza.

Sicuramente efficace e centrale ne Gli annegati è la descrizione di Berlino, una città che sputa dalle pagine di Monfregola la sua contraddittoria densità culturale in cui nulla è per sempre la medesima cosa, il medesimo gesto, ma che vive e risulta berlinese nella capacità di dare forma a sfaccettature contrastanti, a orizzonti sempre in rapida mutazione. Una città enorme, a tratti infinita che contiene senza discontinuità il micro e il macro in un balletto di ciò che è possibile e di ciò che immaginabile.

LA POTENZA DEL LIBRO è tutta o in buona parte nel racconto di Berlino inserito in giustapposizione nella solo apparente estraneità di Cipriani che in verità della città è icasticamente e potentemente ospite nella doppia valenza che il termine assume.
Gli annegati diviene così una vicenda a tratti selvaggia a tratti anche comica e nell’insieme picaresca di un uomo, di una generazione obbligata continuamente a un perenne e imprevisto annegamento che però non include né la tragedia della morte né l’opportunità della salvezza.

L’annegamento è un movimento, una casualità e allo stesso tempo l’opportunità travestita da tragedia. Lo sguardo di Cipriani è così – come mostra l’efficace illustrazione di copertina di Pietro Sedda – quello di un occhio solo: un elenco di cose e di gesti visti. Uno sguardo che vive sull’orizzonte del livello dell’acqua, e che privato della naturale curiosità prende forma e luce solo attraverso un’artificiale pretesa suggestione: ultimo estremo tentativo di vedere oltre la propria perenne infelicità.