Il processo di riforma della Chiesa avviato da papa Francesco è un dato di fatto, anche se ovviamente diverse sono le valutazioni che ne vengono date. Colpisce l’attenzione però il modo in cui la parola «riforma», alla quale per lungo tempo sono stati preferiti sinonimi come, per esempio, «aggiornamento», viene impugnata e declinata dal pontefice nella battaglia interna per attaccare alcune storture. E così anche ieri, parlando alla Curia romana, Bergoglio è tornato a battere sul tasto di una «riforma in corso» che, nel progetto del papa, si poggia «sulla stessa storia della Curia», ma anche su quella sua «visione personale» che – precisa – «ho cercato di condividere con voi nei discorsi degli ultimi anni».

Il pensiero corre al discorso natalizio del 2014, in cui il papa aveva elencato con dovizia di particolari le quindici «malattie» e «tentazioni» della Curia e della Chiesa in generale: la malattia del sentirsi «immortale» o «indispensabile», quella dell’eccessiva operosità, dell’«impietrimento» mentale e spirituale, della «rivalità e della vanagloria», del carrierismo, delle «chiacchiere e dei pettegolezzi», della divinizzazione dei capi e, nello stesso tempo, dell’indifferenza verso gli altri. Nel lungo discorso di ieri il papa è tornato su alcuni di questi punti evidenziando, di fatto, le difficoltà che ha incontrato in questi primi quattro anni di pontificato. «Mi viene in mente l’espressione simpatica e significativa di Monsignor Frédéric-François-Xavier De Mérode-– ha chiosato scherzando il pontefice -: ’Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti’ e‎ ciò evidenzia quanta pazienza, dedizione e delicatezza occorrano per raggiungere tale obiettivo».

Bergoglio ha quindi ribadito l’importanza di un lavoro ad extra (dalla Curia e dalla stessa Chiesa) richiamando l’immagine del «primato diaconale» contro i vizi della struttura. E proprio su questo aspetto le parole usate ieri sono state durissime: occorre «superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano».

Subito dopo ha rincarato la dose puntando il dito contro i «traditori di fiducia o approfittatori della maternità della Chiesa», precisando con cura quale fosse il target: i funzionari «selezionati accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma», ma che, «non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità, si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, invece di recitare il “mea culpa”».

Naturalmente in molti si sono sbizzarriti nello stilare le rose dei possibili bersagli che Bergoglio avrebbe avuto in mente e ai quali ha messo a fianco l’esempio di coloro che «ancora operano nella Curia, ai quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via». Di certo c’è solo che in questi anni ci sono stati più momenti di tensione tra il papa e alcuni esponenti di spicco della Curia romana, come con il cardinale Gerhard Ludwig Müller, non rinnovato alla testa della Congregazione per la dottrina della fede, e distintosi per la sua distanza (mai nascosta) dal rinnovamento impresso dal papa argentino: dalla pastorale sulla famiglia alla riforma della Curia. E poi ancora con il cardinale Sarah, entrato in contrasto con il papa anche recentemente sul motu proprio Magnum Principium, che delega alle Conferenze episcopali le traduzioni dei testi liturgici, sottraendo così una funzione importante di sorveglianza tradizionalmente affidata alla Congregazione per il culto divino.

Più in generale, alcune scelte di rinnovamento pastorale, come le innovazioni (parziali) contenute nell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia, e determinati accorpamenti, come nel caso del super-dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, affidato al fedelissimo cardinale Turkson, hanno suscitato malumori negli ambienti curiali che sono stati in più occasioni esplicitati anche pubblicamente. Nello stesso tempo, va osservato che i grandi nodi della riforma della Curia non sono stati sciolti e che dei lavori di Bergoglio con il Consiglio dei nove cardinali, nominati per coadiuvare il papa nella riforma, non abbiamo avuto ancora notizie.