Violenza contro le donne, muri e fili spinati per respingere i migranti, guerre e spese per nuove armi, lavoro e istruzione per tutti. Nelle celebrazioni liturgiche per la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno, papa Francesco ha toccato una serie di punti dolenti del nostro presente, delineando quasi un’agenda per il 2022 da porre all’attenzione della politica.

«Le donne guardano il mondo non per sfruttarlo, ma perché abbia vita», ha detto ieri il pontefice durante l’omelia della messa, nella giornata in cui la liturgia cattolica festeggia Maria madre di Dio. E nell’anno in cui il bollettino dei femminicidi attesta che in Italia sono state uccise 116 donne, Bergoglio ha aggiunto: «Mentre le madri donano la vita e le donne custodiscono il mondo, diamoci da fare tutti per promuovere le madri e proteggere le donne. Quanta violenza c’è nei confronti delle donne! Basta! Ferire una donna è oltraggiare Dio, che da una donna ha preso l’umanità». All’Angelus invece, pronunciato come da tradizione dalla finestra dello studio che affaccia su piazza San Pietro, le donne evocate dal pontefice hanno assunto il volto delle persone migranti, «le giovani madri e i loro bambini in fuga da guerre e carestie o in attesa nei campi per i rifugiati».

C’è poi il tema del ruolo delle donne nella Chiesa: «la Chiesa è donna», ha ripetuto ieri papa Francesco durante l’omelia della messa, ma è evidente che su questo aspetto Roma è decisamente indietro rispetto ad altre confessioni cristiane, a cominciare da quelle riformate, dove le donne da tempo ricoprono ruoli apicali e decisionali. Anche se il 2022 si apre con una novità: una religiosa delle Figlie di Maria ausiliatrice (la congregazione femminile fondata da don Bosco), l’economista Alessandra Smerilli, dopo aver ricoperto l’incarico per qualche mese, è stata confermata segreteria ad interim del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, una sorta di ministero vaticano per la cooperazione internazionale. Il prefetto resta un uomo, il cardinale Michael Czerny (che subentra al cardinale Peter Turkson), ma è la prima volta di una donna ai vertici di un dicastero della Santa sede.

Ieri era anche la cinquantacinquesima Giornata mondiale della pace, “inventata” da Paolo VI nel 1968. Il pontefice lo ha ricordato durante l’Angelus, sottolineando che «la pace è anche impegno nostro» e si costruisce «con l’attenzione agli ultimi, con la promozione della giustizia, con il coraggio del perdono, che spegne il fuoco dell’odio» e diventando «artigiani di fraternità», per «ritessere i fili di un mondo lacerato da guerre e violenze». Ma la pace è soprattutto impegno della politica, come Bergoglio ha scritto nel messaggio per la Giornata, donato in anteprima al presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che è stato salutato e ingraziato dal papa durante l’Angelus –, reso noto qualche giorno fa (v. il manifesto del 22 dicembre) e rilanciato ieri: la pace resta «lontana dalla vita reale di tanti uomini e donne», «si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti», «peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale.

Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace». E in questo contesto, ha denunciato il pontefice, gli Stati preferiscono investire in armi («le spese militari sono aumentate, superando il livello registrato al termine della guerra fredda, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante») piuttosto che in istruzione. «È dunque opportuno e urgente – ha esortato Francesco – che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti», «liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio».

Venerdì sera, prima di archiviare il 2021, al Te Deum di fine anno, una parola sulla città di Roma – in fondo il papa è il vescovo della Capitale –, «accogliente e fraterna», ma «non sempre dignitosa per i cittadini e per gli ospiti, una città che a volte sembra scartare», soprattutto i «più fragili e vulnerabili». Ad ascoltare, nella basilica di San Pietro, il neo sindaco Roberto Gualtieri.