L’importanza delle retrospettive curate dal Bergamo Film Meeting è indiscussa: basti a dimostrazione, per quanto riguarda la 34a edizione appena conclusasi, il focus dedicato a Miklós Jancsó, che ha dato modo di poter vedere nella maniera più adeguata alcuni film (su tutti: I disperati di Sandór; Salmo rosso; Elettra, amore mio; Il cuore del tiranno) la cui ragion d’essere la trovano proprio negli spazi di visione del grande schermo.

Ma il Bergamo Film Meeting non è soltanto un’occasione di riscoperta; il festival infatti guarda anche a quegli spazi obliqui, interstiziali, potenzialmente fecondi di riscrittura dei codici, che si collocano tra cinema e video-arte. In collaborazione con l’associazione culturale The Blank, il network nato nel 2010 che unisce gli operatori dell’arte contemporanea, questa 34a edizione ha promosso due appuntamenti con altrettanti protagonisti dell’attuale scena internazionale.

Una è Keren Cytter a cui è stata dedicata una panoramica sul suo lavoro teso all’indagine del limite tra realtà e finzione. Quello che l’artista ci mostra è uno «spazio interiore», di ballardiana memoria: territorio nel quale si agitano frammenti di immaginario collettivo e individuale che si interfacciano incessantemente con un paesaggio massmediale in costante evoluzione. I lavori della Cytter sono dispositivi che rivelano la propria natura esibendola; un’esibizione che avviene per mezzo di un disturbo del funzionamento ordinario delle logiche audiovisive: parole e immagini sono sottoposti a rimaneggiamenti, tentati per restituire la complessa e contraddittoria semantica del vivere ma che innescano soltanto cortocircuiti nella significazione. Pur nell’apparente semplicità, e nell’estetica quasi lo-fi, questi video sono invece complesse stratificazioni di linguaggio.

Enclave

L’artista, giocando sulle duplicazioni, le ripetizioni (aspetti connaturati alla natura riproducibile dell’audiovisivo), fa precipitare le sue creazioni nel gorgo allucinatorio della mise en abyme.
L’altro protagonista della sezione «Incontri: Cinema e arte contemporanea» è Deimantas Narkevicius di cui è proposta fino al 31 marzo, negli spazi della Sala alla Porta Sant’Agostino all’ingresso di Bergamo alta, la videoinstallazione Books on Shelves and Without Letters. L’opera consiste nella ripresa dell’esibizione live della band indie-rock lituana dei Without Letters all’interno di una libreria di Vilnius aperta al tradizionale flusso dei clienti, che curiosano tra gli scaffali sfogliando i volumi. All’interno del filmato, che sfugge continuamente dai bordi della propria cornice, si spalancano in contemporanea più finestre che offrono dettagli e visuali differenti della performance. Quello di Narkevicius è un concert movie in chiave cubista, uno spazio di rappresentazione aperto, potenzialmente illimitato per meglio adeguarsi al nostro campo percettivo sempre pronto ad afferrare con la coda dell’occhio fette di spettacolo via via più vaste.

Anche con il mondo dell’animazione il Bergamo Film Meeting continua a intrattenere occasioni di confronto. Quest’anno è stata la volta di Vladimir Leschiov, tra i più importanti e riconosciuti esponenti della scuola lettone, nota per la convinta resistenza alla computer animation, come sottolineato, del resto, dalle stesse parole del regista che sull’argomento si è espresso così: «Sperimentare diversi metodi di animazione permette di creare nuovi mezzi espressivi, ma questo non è possibile con la computer grafica. Con l’elettricità la novità espressiva non la crei tu, ma il tuo nuovissimo super computer, e per migliorare i risultati ne dovrai comprare uno ancora più nuovo l’anno successivo». Una radicalità di pensiero e di pratica che pone Leschiov in una posizione ostinata e contraria rispetto le tendenze in atto nel mondo dell’animazione. Con i suoi lavori il cartoonist inverte il vettore, ma non per dar vita a un’operazione nostalgica bensì per compiere un un atto fondativo dal sapore dechirichiano (occorre essere originari piuttosto che originali): ricominciare daccapo alla luce di quanto già fatto.

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Venendo invece alla «Mostra concorso», quest’anno il BFM ha guardato all’est Europa come non mai: dei sette titoli proposti, cinque provengono dal versante orientale del continente. E a degno coronamento di quest’attenzione a vincere è stato un film serbo, Enklava di Goran Radovanovi, che riflette sugli immediati strascichi della guerra in Kossovo. Dei lavori proposti a colpire, se non altro per rigore registico, è però Parasol, lungometraggio d’esordio del belga Valéry Rosier, che dopo i progetti di video-arte e i documentari approda alla finzione. Più che di fiction vera e propria è più giusto parlare, in questo caso, di «messinscena della realtà», o addirittura «messa in quadro» di stampo seidliano (si faccia attenzione all’austerità compositiva della scena). Anche questo è un film «paradisiaco» e canicolare: girato a Palma di Majorca, a fine dell’estate, in uno spazio-tempo sospeso, dove tutto sembra possibile. La differenza rispetto al cinema dell’austriaco è che Rosier non guarda l’umanità ritratta con entomologico distacco, ma con un maggior disponibilità all’ascolto delle solitudini che covano dietro il grottesco della vita.